Al G20 Putin recita la parte della colomba: «Fermare la tragedia»
G20 Per la prima volta il presidente russo parla dell'invasione dell'Ucraina come di una «guerra»
G20 Per la prima volta il presidente russo parla dell'invasione dell'Ucraina come di una «guerra»
La guerra in Ucraina è una tragedia e bisogna trovare il modo di fermarla. A dirlo non è stato un pacifista, un’organizzazione per il disarmo o il Papa. Sono parole del presidente russo Vladimir Putin, lo stesso che ha dato l’ordine di invadere il territorio ucraino il 24 febbraio 2022 e che da venti mesi sta modellando la Russia a partire dallo sforzo necessario per sostenere il conflitto. In videocollegamento al G20 virtuale di ieri, di fronte alle schermate con i leader dei paesi più industrializzati, Putin si è presentato nelle vesti di colomba della pace, non in quelle di pericoloso rapace con le quali siamo abituati a vederlo e le sue parole portavano il proverbiale ramoscello d’ulivo. Ma come fare a tenere insieme l’autocrate dagli occhi di ghiaccio con quell’inatteso e pacato uomo politico visto ieri sullo schermo?
PARTIAMO registrando un cambiamento lessicale che è anche concettuale. Putin per la prima volta ha definito le ostilità «guerra» e non «operazione militare speciale». «Alcuni colleghi hanno affermato nei loro discorsi di essere scioccati dall’aggressione russa in corso in Ucraina. Sì, certo, le azioni militari sono sempre una tragedia. Persone in carne e ossa, famiglie e un intero Paese; perciò, ovviamente, dobbiamo pensare a come fermare questa tragedia». Come ha replicato in serata la premier Meloni: «La Russia potrebbe in ogni momento facilmente riportare la pace in Ucraina: ritirandosi dai territori illegalmente occupati e ristabilendo la sovranità e la piena integrità territoriale» di Kiev. Peccato che non sia affatto così semplice. Ammesso che Mosca proponga un cessate il fuoco, ipotesi alla quale il Cremlino non sembra lontanamente pensare al momento, le forze armate russe non abbandonerebbero mai i territori conquistati con mesi di sanguinarie battaglie. Come giustificare altrimenti due anni di guerra e di «caduti per la patria» di fronte all’opinione pubblica interna? A seguire la lista è lunghissima: ricostruzione, risarcimenti di guerra, indennizzi per i caduti, scambio di prigionieri, eventuali indagini internazionali da parte di enti terzi (Onu o Corte dell’Aja), per citare solo alcune voci.
MA NON IMPORTA, si potrebbe obiettare, prima la pace, poi i trattati. Il punto è che Putin non vuole trattare ora, almeno non nel senso che intendiamo noi. Se per l’Ucraina l’integrità territoriale è conditio sine qua non per deporre le armi e per la Russia è il contrario, il presidente russo ha un bel dichiarare che «la Russia non ha mai rifiutato il dialogo per la pace. Non è stata la Russia ma l’Ucraina ad annunciare pubblicamente di avere lasciato il tavolo negoziale; ed è stato firmato anche un ordine, un decreto presidenziale, per proibire il negoziato».
IL DISCORSO di Putin di ieri è parte di una strategia più ampia dei vertici russi per far presa su quella parte di leader mondiali stanchi del conflitto e per accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale come un politico di buon senso e disposto al dialogo. Strategia che non impressiona e non convince, ma alla lunga potrebbe avere qualche effetto tra le crepe delle alleanze contrapposte a Mosca in Ucraina.
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