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Al confine Usa arriva l’armata di Dio: «Fuori tutti i migranti»

Al confine Usa arriva l’armata di Dio: «Fuori tutti i migranti»Un convoglio di Take Our Border Back a Quemado, in Texas – Sergio Flores/Getty Images

Stati uniti Reportage da San Ysidro. Ci sono molti degli estremisti che hanno partecipato al 6 gennaio. Numeri non oceanici ma i comizi vengono amplificati senza sosta dai media di destra

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 4 febbraio 2024
Luca CeladaSAN YSIDRO (CALIFORNIA)

Alla fine erano qualche centinaio, arrivati in carovana o alla spicciolata fino a questo parco in vista del muro di confine e delle fitte case di Tijuana. Si sono radunati qui i patrioti della Army of God, un manipolo di sovranisti venuti a proteggere la patria dagli invasori, come hanno ribadito gli speaker, mentre nel vicino outlet proseguiva lo shopping delle famiglie messicane in gita del sabato. Il comizio di San Ysidro è stato una di tre azioni dimostrative del Take Our Border Back che ha organizzato convogli anche in Texas e in Arizona per esigere la chiusura del confine e l’abrogazione del diritto d’asilo «nel nome della costituzione e di Dio». «Non siamo nazionalisti cristiani» ha precisato, in apertura, una delle organizzatrici. Sono seguiti interventi a catena sul «popolo eletto» e la «nazione prediletta dall’onnipotente», predestinata a chiudere il confine «spalancato da Biden».

LA QUESTIONE dell’immigrazione ricorre come scintilla di identitarismo e xenofobia ed oggi torna, amplificata dall’epocale scontro elettorale. Per la destra è il motivatore per eccellenza e promette di saturare la campagna. Per Trump è un cavallo di battaglia cavalcato sin dalla scesa in campo 7 anni fa e militarizzato con più vigore e meno scrupoli di ogni predecessore. Nei comizi minaccia «le più grandi deportazioni di sempre», affermazione non indifferente in un paese che ha conosciuto la vergogna di numerose operazioni di rimpatrio di massa. Più di un milione di Messicani caricati a forza su convogli per il Messico durante la grande depressione, 1.3 milioni sotto Eisenhower (Operation Wetback) – perfino Obama si era guadagnato il nomignolo di deporter in chief.

Come le destre identitarie europee, il populismo Maga soffia sul malcelato panico da sostituzione etnica. Le accuse di droga, criminalità, insidie alla donna bianca («ci mandano violentatori!» tuonava Trump; oggi sono «untori del fentanyl») sono antiche menzogne ma di sicura ed atavica presa. Lo stereotipo degli immigranti che tolgono il lavoro agli Americani è ugualmente smentito da un’economia che ne ha fisiologico bisogno.

A SAN YSIDRO sventolavano numerose anche le bandiere del Texas, in solidarietà con la «crisi costituzionale al rallentatore» innescata da Greg Abbott governatore di quello stato, che ha spedito la guardia nazionale ad impadronirsi dei valichi di competenza della Border Patrol federale. Dopo la sentenza della Corte suprema che ha accolto il ricorso di Biden per riprendere il controllo delle operazioni di confine, il governatore ha sfidato l’autorità del tribunale costituzionale. La guardia nazionale del Texas, ha detto, continuerà a fortificare la linea – e ad impedire l’accesso agli agenti federali. La boutade ne ha fatto l’eroe dei neo secessionisti e con lui si sono schierati 25 stati Gop, disposti a dare man forte, se necessario con reparti delle rispettive riserve. Oggi 14 di loro saranno in visita sul confine mentre dalla Florida Ron De Santis annuncia già la mobilitazione di un battaglione di guardia nazionale, spedito a «respingere l’invasione a fianco dei fratelli e delle sorelle texane».

SE DI TEATRO si tratta, è un gioco pericoloso in un paese che non ha ancora metabolizzato l’insurrezione di tre anni fa (e a San Ysidro sono fioccati slogan a favore dei «prigionieri politici» del 6 gennaio). I manifestanti del convoglio sono rimasti pacifici ma nelle chat Telegram certo non mancano quelli che vorrebbero passare ai fatti. Insegnare una lezione a «quel pezzo di merda nella Casa bianca» come ha detto Ted Nugent fra gli applausi durante una sosta del convoglio in Texas giovedì.

Devin Burqhart, dell’osservatorio sui diritti umani, ha spiegato in una conferenza stampa che l’associazione ha identificato nel gruppo molti degli stessi facinorosi – miliziani, negazionisti e complottisti – che parteciparono all’insurrezione del 6 gennaio. Il confine non ha mai mancato di far uscire alla luce il peggio dell’estremismo di destra. Venti anni fa a Tombstone, Arizona,ho passato un paio di giorni nel presidio anti immigrati dei Minutmen – altra armata Brancaleone che pattugliava la frontiera armata fino ai denti. Allora però si trattava di frange isolate. Oggi il convoglio ha una folta tifoseria dentro al Congresso e nei palazzi i governo – ed un sostenitore/condottiero nel candidato repubblicano in pectore. L’interesse di Trump è di mantenere alta la tensione utile a carburare la sua base, e per questo ha intimato ai suoi di non firmare l’accordo con cui Biden paradossalmente sarebbe pronto a fare grandi concessioni alle richieste Gop. Assai meglio, ai fini elettorali, continuare con la retorica apocalittica e gli atti dimostrativi, come l’impeachment simbolico del ministro della sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas orchestrato dai repubblicani della Camera per inadempienza.

QUEL PROCESSO, come i convogli, hanno tutta l’aria di pantomime atte a motivare gli elettori ma, al di là dei numeri non esattamente oceanici di “patrioti” arrivati al confine, la mobilitazione non è innocua, soprattutto perché amplificata senza sosta dai media di destra. Nel clima già rovente la retorica rischia di innescare atti inconsulti, forse violenze nei confronti degli immigrati.
Certo a San Ysidro, nella folla in gran parte di età pensionabile non mancavano personaggi palestrati in tenuta tattica, e la retorica militarista. Soprattutto però l’assembramento somiglia a una fiera campionaria di oggetti, vestiti, adesivi e accessori, su cui è possibile stampare le stelle e strisce. Dopo il comizio, l’”armata di Dio”, si è rimessa in marcia. Obbiettivo ricongiungersi con il contingente in Arizona, a Yuma, città natale di Cesar Chavez. 60 anni fa il leader campesino era diventato simbolo di solidarietà transnazionale e stretto un’alleanza politica progressista con Robert Kennedy. Quell’America sembra lontana anni luce. Oggi anche Robert Kennedy Jr., candidato indipendente alla Casa bianca denuncia «l’invasione» e chiede di sigillare il confine.

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