«Oltre a respingimenti e percosse, i profughi tra Polonia e Bielorussia sono esposti a un’altra forma di tortura: il muro alto 6 metri e lungo 186 chilometri costruito da Varsavia. Non solo non sta fermando gli arrivi ma, per scavalcarlo, le persone rischiano di cadere e di slogarsi caviglie, rompersi braccia o gambe e perfino di morire». Filipa parla mentre da pochi giorni alla barriera sono state attivate anche telecamere e sensori di movimento. Lei è una volontaria polacca, tra le tante che aiuta i migranti che cercano di entrare in Polonia dalla frontiera bielorussa. Mentre in Italia i riflettori sono puntati sul dramma dei profughi in fuga dall’Ucraina o attraverso il Mediterraneo, un’altra rotta migratoria continua ad essere attiva, lasciando individui o famiglie per giorni a nascondersi nei boschi, senza cibo, riparo o cure mediche, nel totale silenzio dell’Europa. E’ quella tra Bielorussia e Polonia: si è aperta nell’agosto 2021, quando il governo di Varsavia ha accusato il regime di Minsk di attirare africani, asiatici e mediorientali per poi spingerli con la forza al confine con la Polonia, come forma di “ritorsione” per le sanzioni economiche imposte dall’Ue sul regime di Lukashenko.

Nei mesi scorsi, per poche settimane, i volontari polacchi hanno osservato una riduzione negli arrivi e questo li aveva spinti a credere che al di là della frontiera i profughi extra europei si fossero ormai esauriti. A luglio invece l’afflusso è ripreso e a dare i numeri del fenomeno ci hanno pensato Fondazione Helsinki con Grupa Granica, alleanza di ong impegnate nell’aiuto ai migranti. Secondo i due organismi, tra il 1° luglio e il 10 ottobre almeno 1.642 persone bloccate nei boschi al confine tra i due Paesi hanno chiesto aiuto. Ben 23 hanno perso la vita, ma il dato sarebbe sottostimato e potrebbero essere oltre 200. Filipa riferisce che la maggior parte dei profughi che incontra sono africani da Etiopia, Eritrea, Congo o Camerun, «perlopiù giovani uomini, ma anche donne, bambini, famiglie». Storie ascoltate di notte, mentre offre tè caldo, coperte e cibo nei boschi di Białowieza. Ci chiede di usare un nome falso perché da queste parti gli agenti di frontiera non cercano solo gli stranieri – che poi, come accusano le ong, saranno respinti al confine oppure chiusi nei centri per migranti – ma anche i volontari. E per chi aiuta c’è la multa o l’arresto.

Filipa, che mentre parla tiene sempre d’occhio il telefono dove le arrivano richieste di soccorso, aggiunge: «Ho incontrato tanti giovani africani che erano in Russia per studiare e poi, stanchi di subire discriminazioni, hanno deciso di venire in Europa. Incontriamo anche siriani e yementi, mentre gli iracheni sono diminuiti». Molti dei profughi arrivavano – e arrivano tuttora- in Russia o Bielorussia in aereo, partendo da Turchia, Libano, Siria o Iraq.

Ma di recente a far temere che, in pieno conflitto ucraino, Mosca e Minsk vogliano nuovamente alimentare le partenze per usare l’arma dei profughi contro l’Europa (e sugli elettorati più xenofobi), c’è stato l’annuncio, il 1° ottobre, dell’Autorità per l’aviazione russa di aprire Kaliningrad a voli provenienti da Qatar, Emirati Arabi e Turchia. In questa regione russa situata in territorio esterno alla Federazione, tra il nord della Polonia, la Lituania e il mar Baltico, secondo esperti di sicurezza polacchi citati dal quotidiano tedesco Bild a fine ottobre, potranno facilmente arrivare sudanesi, etiopici, siriani e tante altre nazionalità da medio oriente e Nord Africa. D’altronde le conseguenze della guerra russo-ucraina sui prezzi e la disponibilità di combustibile e prodotti alimentari non solo hanno inasprito vecchi conflitti ma fanno profilare nuove crisi soprattutto in queste aree. E così sebbene Kaliningrad – la «terra dell’ambra», nominata da Trip Advisor prima Miglior destinazione emergente del 2020 – rappresenti dal punto di vista turistico un reale interesse economico per la Russia colpita da sanzioni, la reazione di Varsavia all’annuncio dei nuovi voli è stata immediata: il 2 novembre il ministero della Difesa ha annunciato l’intenzione di “sigillare” i 130 chilometri di frontiera con l’exclave russa. «Non abbiamo dati che confermino che Russia e Bielorussia stiano incoraggiando gli arrivi- dice Sabina, altra volontaria polacca, altro nome di fantasia- ma sicuramente non stanno ostacolando questa rotta. Riceviamo anche cinque o sei SOS contemporaneamente, i nostri volontari non riescono a raggiungere tutti».

I migranti, spiegano, sono nei boschi, magari da giorni, perché sono riusciti a scavalcare il muro e poi si sono nascosti per paura di essere respinti dagli agenti di frontiera. Alcuni, cadendo dalla barriera composta di travi metalliche lisce alte 5 metri e mezzo, si fanno male, oppure si ammalano attraversando fiumi e paludi di cui quest’area è ricca e dove già da ottobre le temperature di notte scivolano sotto lo zero. I volontari temono che possa ripetersi quanto avvenuto l’anno scorso: che, con l’arrivo della neve, la gente non possa sopravvivere. Sui flussi al confine non ci sono però stime esatte perché Varsavia ha vietato l’accesso a operatori umanitari, giornalisti e osservatori internazionali. Nel report di Fondazione Helsinki e Grupa Granica si afferma che dall’agosto 2021 i volontari abbiano trattato oltre 13mila richieste di aiuto. «Non possiamo escludere che delle persone siano state contate più di una volta» spiega Marta Gorczynska, esperta legale di Fondazione Helsinki, «ma stando al governo tedesco almeno 10 mila profughi extra europei sono entrati in Germania dalla Polonia». A ottobre 2021 se ne contavano già 5.300. «Quei migranti che riescono a presentare richiesta d’asilo in Polonia- chiarisce l’esperta- vengono messi in detenzione o sistemati nei centri per migranti dove sussiste l’obbligo di pernottare».

L’ex difensore civico Adam Bodnar, storico oppositore del governo di Moraweicki, parla di una Polonia «a due velocità: al confine bielorusso c’è un approccio durissimo verso i migranti, mentre al confine ucraino vige un totale rispetto dei diritti delle persone. Varie istituzioni internazionali hanno sollevato l’allarme sul comportamento del mio Paese verso i primi e tutto lascia pensare che i flussi dal confine bielorusso non si arresteranno. Il fenomeno quindi- conclude l’avvocato- merita maggiore attenzione, anche in sede europea. Dobbiamo arrivare al punto in cui i diritti vengano garantiti a prescindere da quale confine provengono le persone».