Al boss piace il musical
Cinema In concorso lo scoppiettante ritorno dei Manetti Brothers con «Ammore e Malavita», uno stralunato omaggio a Napoli e alla sceneggiata
Cinema In concorso lo scoppiettante ritorno dei Manetti Brothers con «Ammore e Malavita», uno stralunato omaggio a Napoli e alla sceneggiata
Quasi in finale di festival arriva Ammore e Malavita, il musical dei fratelli Manetti a rendere più lieve la mostra che ci ha fatto confrontare quasi ogni giorno con tematiche apocalittiche, prefigurando la catastrofe finale. Qui si va sul sicuro, siamo a Napoli dove tutto può succedere e siamo introdotti nella storia da Carlo Buccirosso, anche se è un po’ impedito nei movimenti perché si trova in un carro funebre scambiato per il cadavere di un boss. Il suo disappunto lo canta, siamo in pieno musical. La canzone ci coglie di sorpresa eppure dopo la prima, le altre non dovrebbero essere una novità, ma sono così integrate nella storia da diventare il cuore pulsante del film. Ritroviamo celebri volti di polizieschi e film di camorra, ma in chiave umoristica (così come aveva sorpreso Tano da morire di Roberta Torre il musical sulla mafia della Settimana della critica a Venezia 1997).
Senza denunce e senza sottili metafore musicali, canzoni e coreografie fanno avanzare l’intreccio che vede la moglie del boss (smagliante Claudia Gerini) ad architettare il piano della sostituzione del cadavere per nascondere il marito, re del pesce, nella panic room e sfuggire così ai killer della concorrenza. Due guardie del corpo addestrate (Giampaolo Morelli che i Manetti hanno diretto nell’Ispettore Coliandro e Raiz) vegliano sul caso, non senza imprevisti, parecchie sparatorie e la partecipazione di un cast ricco di sorprese.
ome Pino Mauro in persona, il re della sceneggiata, che canta a piazza Plebiscito su un trono circondato da considerevoli corna (alludono forse all’alternativo albero di Natale che ha in mente De Magistris?), il cantautore Franco Ricciardi (Song’e Napule il film dei Manetti 2014), Serena Rossi, Antonino Iorio, Luciana De Falco. Ogni volto rimanda a un pezzo di storia dell’immaginario napoletano, televisivo, cinematografico o musicale (ma sono genovesi gli autori delle musiche Aldo e Pivio De Scalzi).
«Abbiamo preso ad esempio Grease», dicono i registi a cui all’inizio la Rai aveva chiesto di pensare a un sequel di Passione di John Turturro, ma la loro vena libera («non siamo documentaristi, ci piace raccontare storie») ha poi avuto il sopravvento, inventando il giro turistico in pulmino per stranieri in vena di emozioni alle Vele, la trasferta a New York dove ancora i boss possono contare su qualche uomo di fiducia, la storia d’amore impossibile, le ricostruzioni alla James Bond e alla Michael Jackson.
Omaggio alla sceneggiata napoletana, un genere piuttosto dimenticato, a cui si aggiungono in scaletta diversi generi musicali dal rock al rap. «Napoli non è quella raccontata da Gomorra – aggiungono, noi da una parte prendiamo in giro il gomorrismo che ha prodotto libri, serie, ed è un termine perfino accolto nei notiziari, la Napoli cupa, le Vele diventate il simbolo di una città che invece ha come scenario il Vesuvio e il mare. Al contrario bisogna pensare a Napoli come capitale italiana della cultura, la prima nel teatro, nel cinema, nell’architettura e perfino nei cartoni animati, come dimostra La Gatta Cenerentola che abbiamo visto alla Mostra».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento