Alfredo Cospito ma non solo. Sottoposte al regime di detenzione speciale 41bis ci sono attualmente circa 740 persone, tra cui 12 donne, distribuite in 60 sezioni all’interno di 12 carceri.

A parte il detenuto anarchico e tre brigatisti rossi del tempo che fu, sono tutti condannati (613) o in custodia cautelare (121) per associazione a clan mafiosi. Sei gli uomini internati nella “Casa lavoro” di Tolmezzo di cui solo due sono ancora in età lavorativa e operano in una serra, quindi per pochi giorni l’anno.

Ciascun recluso sottoposto al 41bis può comunicare solo con gli altri detenuti o internati facenti parte dello stesso «gruppo di socialità» (composto di 4 persone al massimo).

Ma per 35 carcerati le restrizioni sono ancora maggiori: per loro esistono 11 «Aree riservate», «non previste da alcuna norma di legge», che il Garante nazionale delle persone private di libertà ritiene «debbano essere abolite». Lo ha spiegato ieri lo stesso Mauro Palma, insieme alle colleghe Daniela De Robert e Emilia Rossi, presentando presso la sede romana dell’Fnsi il Rapporto sull’applicazione del regime speciale ex art. 41bis dell’ordinamento penitenziario.

Anno

2012

2013201420152016201720182019202020212022
Persone in regime speciale

699

707723728724724742753756745

740

 

Il numero di detenuti al 41bis – «non chiamatelo carcere duro, perché se avesse fini maggiormente punitivi o di deterrenza si collocherebbe fuori dal perimetro costituzionale» – è rimasto «sostanzialmente invariato nell’ultimo decennio». «Troppi», per l’ufficio del Garante che però considera quel regime speciale «un sistema necessario per sconfiggere un problema grave nel nostro Paese».

Le posizioni giuridiche

  • 613 hanno una condanna definitiva (di cui 159/163 in situazione mista, ma con almeno una condanna definitiva)
  • 127 sono esclusivamente in misura cautelare
  • 204 scontano una condanna all’ergastolo
  • 250 scontano una condanna a pena temporanea
  • 6 sono internate in misura di sicurezza all’interno di una struttura definita come “Casa di lavoro” sottoposte anch’esse a tale regime.

Eppure, la «permanenza di una serie di restrizioni» – «il diametro massimo di pentole e pentolini, il numero di pagine dei libri, il numero di matite o colori a disposizione, il numero e la dimensione delle fotografie», ecc – «non appaiono allineate alla finalità del regime» e «rischiano di far venir meno la ratio del sistema». Perciò, tra le raccomandazioni finali il Garante chiede «una nuova circolare sulle modalità di attuazione» del 41bis per escludere le «misure restrittive non strettamente funzionali alla prevenzione dei collegamenti interni ed esterni con la criminalità organizzata».

Dunque un regime legittimo, come d’altronde sempre riconosciuto anche dalla Consulta, «purché il rinnovo non avvenga in modo automatico e il regime non diventi un elemento simbolico». Ed è su questo, in particolare, che il Garante punta il dito, definendosi «nettamente contrario agli elementi simbolici che la fanno da padrone rispetto a quelli concreti».

Cosicché, se a Cospito, l’anarchico in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso (ma da qualche giorno ha ricominciato anche ad assumere latte), si deve riconoscere «senz’altro il merito di aver riaperto il dibattito sul 41bis», come ha riconosciuto Palma, viceversa la sua battaglia personale per ottenere la revoca del regime a cui è sottoposto dal maggio dell’anno scorso rischia di trasformare un tema serio e delicato in un elemento simbolico che poco aiuta il superamento dei problemi. «Fermo restando – fa notare Palma – che nessuna persona in uno Stato democratico può immaginare che con lo sciopero della fame possa far cambiare una legge. Può semmai chiedere che venga applicata».

Lo sciopero della fame come forma di lotta nonviolenta, prosegue il Garante a margine della presentazione, «deve avere un obiettivo possibile, deve essere in favore della vita, non finalizzata alla morte». Palma, che ha visitato il detenuto anarchico quattro volte, l’ultima una settimana fa, rivolge un appello alle autorità politiche affinché tentino «tutte quelle vie che, non negando con un atto di imperio le decisioni della magistratura, diano soluzione al problema individuale».

E a Cospito chiede «un gesto» (l’interruzione del digiuno, ndr) che renda la sua battaglia concreta e non simbolica: «Il problema generale e quello individuale non vanno confusi».

Di certo, il 41bis non può essere rinnovato o confermato a una persona in fin di vita. «Successe nel 2008 – ricorda Palma – e per questo l’Italia venne condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Ora, visto che «questo rapporto chiama in causa il legislatore», Stefano Anastasia, portavoce dei Garanti territoriali, esorta il Parlamento ad intervenire «con una propria indagine conoscitiva sul 41bis».