«Abbiamo appreso che quattro unità del Corpo di polizia penitenziaria sono state distolte dalle carceri, in gravissima sofferenza per la mancanza complessiva di 18mila unità, per essere assegnate a prestare servizio presso l’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Ciò, peraltro, senza l’esperimento di alcuna procedura di selezione atta a offrire assicurazioni di efficienza, efficacia, imparzialità e trasparenza». È piuttosto irritato, Gennarino De Fazio, Segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, uno dei sindacati più rappresentativi nel Corpo e non certo ideologicamente ostile al governo.

GIÀ IL 7 MARZO SCORSO aveva protestato e chiesto spiegazioni per quella che ai più, tra gli agenti penitenziari che lavorano nelle carceri in condizioni obiettivamente difficili, sembra un grosso scivolone da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Ministero di Giustizia. Ma dopo quindici giorni senza alcuna risposta, il segretario della Uilpa ha appreso che mercoledì i giochi erano stati fatti: quattro agenti (tra loro nessun ruolo dirigenziale, al contrario di come inizialmente previsto) sono stati assegnati con chiamata diretta e senza alcun bando all’Ufficio del neo Garante nazionale dei detenuti, Felice Maurizio D’Ettore, per coprire la carenza di personale (una decina di posti) che si è venuta a creare per vari motivi – in alcuni casi per scelta, in altri per pensionamento – alla fine del mandato di Mauro Palma.

«Non ci sembra affatto un buon inizio – scrive in una nota De Fazio -, non solo perché quelle quattro unità di Polizia penitenziaria potrebbero essere più utili in contesti operativi in forte crisi, richiamata anche dal Presidente Mattarella, ma soprattutto per le modalità oscure con cui sono avvenute le assegnazioni». La chiamata diretta, infatti, è un’eccezione prevista solo nelle procedure d’estrema urgenza. Ed è evidente che l’emergenza si sarebbe potuta evitare se solo a tempo debito fossero state avviate le procedure per gli interpelli, ossia i bandi di concorso con tanto di criteri per le graduatorie. «Un percorso, peraltro, assai veloce in questi casi», riferisce De Fazio.

IL BANDO LO PROPOSE l’anno scorso l’uscente ufficio del Garante (Mauro Palma, Daniela De Robert e Emilia Rossi), ma a Via Arenula non ne vollero sapere, preferendo lasciare al neo presidente D’Ettore, affiancato da Irma Conti e Mario Serio, la gestione del problema. D’altronde sta esattamente nella logica dell’emergenza, il vantaggio di poter ricorrere alle scorciatoie e byassare le (noiose) norme di legge.

Ma c’è dell’altro: la composizione dell’ufficio del Garante nazionale è normata dal Dpcm 89 del 10 aprile 2019 che fissa a 25 il numero di unità di personale operante, di cui tre assegnate dagli enti del Sistema sanitario nazionale, due dal Ministero degli Interni e 20 dalla Giustizia. Tra queste ultime postazioni, solo 7 sono riservate alla Polizia penitenziaria e, da quanto apprende il manifesto, in via San Francesco di Sales prendono servizio già 4 appartenenti al Corpo, di cui due Ispettori di polizia penitenziaria. Dunque, se così è, il Dap avrebbe concesso l’assegnazione di un poliziotto in più del dovuto all’ufficio del nuovo Garante. In ogni caso, il personale assegnato dagli enti «è scelto con procedure selettive, in funzione delle conoscenze acquisite negli ambiti di competenza del Garante», recita l’art. 2 del Dpcm 89.

SI POTREBBE OBIETTARE che quattro agenti in più o in meno nel deprimente panorama dell’amministrazione penitenziaria non fanno una grande differenza. E che l’inosservanza della legalità – a cominciare da quella stabilita dalle convenzioni internazionali – è all’ordine del giorno nelle carceri italiane.

Eppure Gennarino De Fazio insiste: «È una violazione premeditata delle norme imperative. Le garanzie non possono essere unidirezionali, non possono tradursi in privilegi a vantaggio di pochi eletti e a discapito di quanti, nelle carceri, sono afflitti da carichi di lavoro al limite della sopportazione umana e da pressioni indicibili, fatte anche di minacce e aggressioni. Senza contare che ciò indebolisce ulteriormente le garanzie per gli stessi reclusi, 25 dei quali si sono già suicidati nei primi due mesi e mezzo dell’anno. In sintesi – conclude il segretario della Uilpa Pp – chiediamo garanzie a chi è Garante per definizione, altrimenti è pura nomenclatura».