A ovest della capitale libica, è da Al-Zawiya è che si imbarcano tantissimi subsahariani. E sono loro oggi i più a rischio dopo i disordini scaturiti da video pubblicati online di torture perpetrate su giovani libici. I responsabili, secondo l’opinione pubblica, sarebbero non meglio identificati «africani».

Al soldo, dicono, delle milizie attive ad al-Zawiya. Che mercoledì scorso si è sollevata, in prima fila gli studenti universitari: hanno prima sospeso le lezioni e poi chiamato alla disobbedienza civile contro le autorità locali e nazionali.

IN PIAZZA DEI MARTIRI hanno dato alle fiamme copertoni, poi hanno bloccato le strade e chiuso gli ingressi a una delle più grandi raffinerie libiche.

Moltissimi giovani, giovedì all’alba, di fronte alla sede della sicurezza, hanno letto le loro richieste: sospensione del consiglio comunale, elezioni municipali, licenziamento del responsabile della sicurezza della città e ritiro dei mezzi militari. Alla fine i veicoli militari se ne sono andati venerdì mattina.

Ma il problema che resta è di legittimità: quella dei ministeri di Interni e Difesa del governo con sede a Tripoli, ritenuti i responsabili della repressione interna, e quella più generale di un esecutivo che gode di un’autorità dimezzata dalla presenza, nell’est della Libia, di un esecutivo rivale.

I TIMORI MAGGIORI, però, restano quelli dei migranti subsahariani, accusati in toto di farsi mercenari per le milizie locali, parte di quell’arcipelago di gruppi armati che ha diviso la Libia in una galassia di città-stato.

C’è chi vede in quei video la scusa per una caccia alle streghe che destabilizzi Tripoli e il suo premier Abdulhamid Dbeibeh. Tra i principali indiziati il primo ministro di Tobruk, Fathi Bashagha, che su Facebook ha rilanciato le immagini che hanno scatenato in Al-Zawiya una rabbia che montava già: il 23 aprile scontri tra milizie rivali avevano ucciso quattro civili.

A fine febbraio due i morti in scontri tra un gruppo legato al ministero degli Interni e un altro alla Difesa di Tripoli. Nemmeno lì c’è unità.