Africa curling team: un sogno di ghiaccio, Salvini permettendo
Sport e società C’è tempo fino al 16 dicembre per finanziare il documentario di Tomaso Clavarino che racconta una squadra unica al mondo. Dal Gambia e dalla Sierra Leone fino in Val Pellice: vent’anni e alle spalle una vita di dolore, di fuga e di resistenza. La storia di sei ragazzi in attesa dello status di rifugiato. Domenica prossima a Pinerolo il debutto nel campionato nazionale di serie C. La prima battaglia vinta contro la burocrazia che li voleva escludere dalle gare
Sport e società C’è tempo fino al 16 dicembre per finanziare il documentario di Tomaso Clavarino che racconta una squadra unica al mondo. Dal Gambia e dalla Sierra Leone fino in Val Pellice: vent’anni e alle spalle una vita di dolore, di fuga e di resistenza. La storia di sei ragazzi in attesa dello status di rifugiato. Domenica prossima a Pinerolo il debutto nel campionato nazionale di serie C. La prima battaglia vinta contro la burocrazia che li voleva escludere dalle gare
In una delle sue prime vite, molto prima che mettesse piede in Val Pellice, per Edward Assine il ghiaccio serviva a refrigerare le bevande, la stone non era altro che una pietra, una delle tante di cui sono disseminate le strade del suo Gambia, e il curling era quel verbo inglese che descrive l’azione di arricciamento mentre la si compie. Insomma, quando Edward intraprese quel suo lungo viaggio senza meta, iniziato a 17 anni non per noia ma per necessità, per paura, per salvarsi la vita dopo che era rimasto orfano e senza parenti stretti, tutto poteva prevedere tranne che uno sport chiamato curling che si gioca correndo su un pavimento di ghiaccio (senza cadere a terra) e facendovi scivolare sopra una strana pietra con manico, avrebbe potuto essere la sua salvezza. In realtà, sarebbe più giusto dire che potrebbe essere la sua salvezza, se solo una legge ingiusta, varata con spirito populista e razzista al solo fine di alimentare il rancore sociale, non mettesse a rischio la possibilità di ottenere lo status di rifugiato richiesto per motivi umanitari.
I GIORNI TRASCORRONO LENTI, per Edward, in attesa del verdetto che dovrebbe arrivare tra gennaio e febbraio del prossimo anno. Nel frattempo, si affastellano alla mente i ricordi di ciò che ha passato in questi ultimi quattro anni, e il peso della paura torna ad opprimere questo intelligentissimo giovane di 21 anni, cristiano fuggito dal razzismo islamista, che in due anni ha aggiunto un italiano fluente al suo vocabolario multilingue, e da un anno vive in Piemonte, a Bibiana, dove coltiva un sogno quasi possibile insieme ad altri ragazzi con cui condivide l’infame destino di fuggire dall’Africa. Vivono in piccoli alloggi sparsi nella valle, tra Bibiana, Torre Pellice, Pinerolo e Bobbio Pellice, paesi che si vanno spopolando, dove i giovani scarseggiano e l’inverno è rigido. «Ma va bene così – dice Edward – se possono viverci gli altri, in questo freddo, posso farlo anche io».
Hanno tra i 20 e i 28 anni, e sono tutti ospiti della Diaconia Valdese, James Bangura e Joseph Fornie, provenienti dalla Sierra Leone, Seedia Ceesay, Keita Kebba, Edward e Lamin Camara, del Gambia. Sono la «Africa only curling team», la prima squadra africana al mondo di curling, interamente composta da richiedenti asilo in Italia. E da tre mesi hanno vinto la loro prima battaglia, quella contro la burocrazia che non voleva ammetterli al Campionato federale in quanto squadra interamente composta da atleti stranieri. Il 15 dicembre invece nello stadio di Pinerolo dove si allenano, costruito per le Olimpiadi 2006, giocheranno la loro prima partita di campionato, serie C. «Siamo felicissimi, davvero non ci sembra vero», esulta Edward che ancora ricorda quando, un anno fa, a lui che aveva praticato il calcio e il karate ma non aveva mai messo piede su una pista di ghiaccio, gli sembrava impossibile fare perfino un passo.
E sì che quando, due anni dopo aver lasciato la propria casa, è sbarcato in Sicilia dopo una traversata «a bordo di un barcone omologato per 100 persone che ne trasportava il doppio – ricorda ora Edward Assine – ero sotto shock, mi sentivo come un torturato, disturbato mentalmente. Non credevo neppure di essere arrivato in Italia perché avevo fatto tanti sogni su questo viaggio…». Aveva 19 anni, allora, e già aveva vissuto l’indicibile.
SCAPPATO NEL 2014 da una condizione familiare e sociale «pericolosa per un giovane cristiano», aveva vissuto un anno in Senegal, poi si era spostato in Mali, poi in Burkina Faso, in Niger, in Algeria e infine in Libia. In questo lungo errare verso un destino migliore era stato aiutato da amici suoi e di suo padre (perso quando aveva due anni). In Libia finisce in prigione con il suo amico Albert per due mesi e mezzo. «È stato molto, molto difficile, ed è molto difficile parlarne: mi sento male quando ricordo, e non voglio più ricordare». Qualcosa riesce però a dire, Edward: parla di acqua salata da ingoiare quando non ce n’era di dolce, di latrine terribili, di «botte per nulla, perché per loro gli africani sono come animali», e di «sedativi messi nella pasta per evitare che scappassimo». «Quando sono arrivato in Italia non riuscivo a mangiare pasta per questa ragione».
POI UN COLPO DI FORTUNA: un poliziotto aveva bisogno di un meccanico e Albert era meccanico. «Mi ha presentato come suo fratello e siamo andati al servizio del poliziotto. Per quattro mesi abbiamo vissuto nella sua casa, ma ci trattava male e così una notte siamo scappati. Un taxista ci ha consigliato di lasciare la Libia perché era troppo pericoloso per noi, ma ci ha detto che c’era un unico modo per scappare: prendere un barcone verso l’Italia. Costo: 300 dinari (attualmente 190 euro circa, ndr)».
Il curling lo ha aiutato a non impazzire, a elaborare tutto quel dolore e quella paura. Supportato dalla Diconia Valdese e dal responsabile tecnico della squadra, Eros Gonin, direttore generale dello Sporting Pinerolo, padre di Simone Gonin, uno dei campioni di curling che hanno conquistato il bronzo e portato di nuovo l’Italia sul podio degli Europei dopo 39 anni. «Eros e sua moglie sono tanto bravi, ci aiutano molto e ci vogliono bene», racconta il ragazzo. «Ma se mi riportano indietro, tutto quello che ho passato nella vita, tutto quello che ho imparato qui in Italia, tutti gli sforzi fatti, saranno stati inutili. La vita non avrebbe più senso. Posso anche morire, se devo tornare a casa», dice. E la disperazione gli incrina la voce. Eppure Edward è forte, anche se forse non sa di esserlo.
LO SA PERÒ TOMASO CLAVARINO, fotografo e giornalista free lance piemontese che si è innamorato di questa storia e di questi ragazzi, e ha deciso di girare un documentario di cui cura la regia e prodotto da ActingOut. Titolo: Ghiaccio. «Non vogliamo produrre un Cool Runnings numero 2, il film che raccontava della prima squadra di bob giamaicana – spiega al manifesto – il documentario parlerà di sport ma soprattutto di adattamento, di resistenza e di riscatto. Abbiamo girato 6/8 mesi grazie ai finanziamenti del Piemonte Doc Film Fund e della Diaconia Valdese, ma per concludere il progetto e seguire il campionato abbiamo bisogno di altri 15 mila euro circa». La campagna di crowdfunding lanciata sulla piattaforma Indiegogo si concluderà il 16 dicembre. Non c’è molto tempo, ma si può tentare. Perché il sogno di Edward si avveri. Perché anche noi tutti possiamo ricominciare a sognare.
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