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Afghanistan, Ghani alla prova del voto

Afghanistan, Ghani alla prova del votoL'arrivo delle schede elettorali nella provincia di Khost – Afp

Urne aperte domani Il presidente, a caccia del secondo mandato, cerca di capitalizzare il mancato accordo Usa-Talebani. A sfidarlo con un ticket "etnico" Abdullah Abdullah, con il quale ha condiviso il potere nel governo di unità nazionale imposto da Washington nel 2014

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 27 settembre 2019

Si è chiusa alla mezzanotte di mercoledì la campagna elettorale per le presidenziali che si terranno sabato dalle 7 del mattino alle 15 nelle 34 province afghane. A contendersi la poltrona dell’Arg, il palazzo presidenziale di Kabul, ci sono Ashraf Ghani, il presidente in carica alla ricerca di un secondo mandato, e Abdullah Abdullah, il Chief of Executive Officer che con Ghani ha condiviso il potere nel governo di unità nazionale imposto nel 2014 dall’allora segretario di Stato Usa, John Kerry. Una coabitazione forzata e paralizzante, che sta per finire.

SULLA CARTA ci sono altri 16 candidati, ma molti si sono ritirati, appoggiando l’uno o l’altro, o non hanno possibilità concrete. Tra questi ultimi, l’ex «macellaio di Kabul», il padre-padrone dell’Hezb-e-Islami Gulbuddin Hekmatyar, massacratore di civili nella guerra civile degli anni Novanta e a lungo a capo di una guerriglia anti-governativa che nel 2016 ha deposto le armi. Si è ritirato perfino Hanif Atmar, ex consigliere per la sicurezza nazionale che sembrava promettere faville e la cui coalizione elettorale, invece, si è frantumata intorno a dissidi con l’ex governatore della provincia di Balkh, Atta Mohammad Noord, a capo del Jamiat-e-Islami, il partito a maggioranza tagica di cui fa parte, non senza attriti, anche Abdullah Abdullah, l’oftalmologo diventato braccio destro del leone del Panshir, il comandante Massud, e che negli scorsi cinque anni ha vissuto all’ombra di Ghani.

Per conquistare i voti necessari, Abdullah ha incluso nel ticket elettorale un candidato vice-presidente uzbeco e un hazara, riflettendo una tendenza alla etnicizzazione del voto più marcata che in passato. Ghani invece ha convinto Amrullah Saleh, tagico, ex capo dei servizi segreti e, prima del ripensamento, fiero oppositore del presidente.

INDEBOLITO DAL NEGOZIATO tra l’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad, e i Talebani, Ghani mira ora a capitalizzare la decisione improvvisa di Trump, il 7 settembre, di interrompere il negoziato. Si dice sicuro di avere la vittoria in tasca. Tanto da non presentarsi nei due dibattiti televisivi previsti con gli altri candidati principali. Che lo accusano: sei corrotto come gli altri. Lui rigira al mittente le accuse. E manda a dire ai Talebani – che minacciano attentati – che nel suo secondo mandato otterrà pace e sicurezza. Dovrà convincere almeno il 50% più 1 degli elettori (sono 9 milioni e 700.000 quelli registrati) per evitare il ballottaggio di novembre.

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