Afghanistan, chiudono le poche scuole ancora aperte alle donne
Asia Dopo la pausa invernale, il diktat talebano è diventato assoluto. Le pressioni internazionali cadono nel vuoto. Ma l’Emirato resta spaccato in due
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In Afghanistan ieri sono state riaperte le scuole dopo la pausa invernale. Per gli studenti, di ogni ordine e grado, porte aperte. Per le studenti, solo fino alla scuola primaria. Per le ragazze più grandi infatti vige ancora il bando informale del marzo 2022.
Quando, con un testacoda indicativo delle divisioni all’interno dei Talebani, il ministero prima ha annunciato la riapertura delle scuole, per poi lasciare a casa le studenti adolescenti. Da allora, sempre a casa, tranne rari casi. L’Afghanistan rimane dunque l’unico Paese al mondo in cui il diritto all’istruzione è negato alle adolescenti.
«Con l’inizio del nuovo anno scolastico in Afghanistan, ci rallegriamo per il ritorno di milioni di bambini e bambine nelle aule della scuola primaria. Tuttavia, siamo profondamente delusi di non vedere anche le ragazze adolescenti tornare nelle loro aule», ha dichiarato Fran Equiza, rappresentante dell’Unicef in Afghanistan, l’agenzia dell’Onu che, come molte altre organizzazioni, fatica a trovare i modi per convincere i Talebani a cambiare rotta.
LA DECISIONE, parte di un più ampio pacchetto normativo che consolida l’apartheid di genere, non è stata presa a Kabul, sede dei ministeri, ma a Kandahar, sede dell’Amir al-muminin, la guida dei fedeli Haibatullah Akhundzada. Che con il suo entourage detta la rotta, diversa da quella di altri Talebani più pragmatici.
Consapevoli che, intorno ai diritti delle donne, si gioca non solo una partita interna, con una società insofferente alle discriminazioni, ma anche internazionale, con quella comunità diplomatica da cui dipendono aiuti umanitari, aiuto allo sviluppo, la tenuta del sistema-Paese.
A Kandahar sono convinti, sbagliando, che «l’autarchia è la via maestra, il popolo è con noi». A Kabul l’ala più pragmatica cerca di rassicurare gli stranieri. Ormai senza pazienza. Come le studenti afghane.
Le uniche novità sono negative: ora le scuole sono chiuse anche nelle poche aree in cui, grazie alla capacità di negoziazione delle comunità locali, erano rimaste aperte prima della pausa invernale, come nelle province settentrionali di Kunduz e Balkh. «Quest’anno le scuole sono aperte alle ragazze fino alla sesta classe, stiamo aspettando altre notifiche sulle classi superiori», ha dichiarato all’agenzia Reuters Mohammed Ismail Abu Ahmad, a capo del dipartimento dell’educazione di Kunduz.
CHE LE SCUOLE sarebbero rimaste chiuse era chiaro già nei giorni scorsi, a dispetto delle pressioni crescenti per rivedere le norme discriminatorie, inclusa quella del dicembre 2022 con cui si nega alle studenti anche l’accesso all’università. Le pressioni provengono anche dai governi islamici, oltre che dall’Organizzazione della cooperazione islamica, il cui segretario Hissein Brahim Taha di recente ha ribadito che la questione non è chiusa.
Pochi giorni fa, a margine di un incontro con una delegazione di religiosi provenienti dagli Emirati arabi, il ministro di fatto degli Esteri dell’Emirato, Amir Khan Muttaqi ha dichiarato: «La scuola per le ragazze non è haram, non è proibita dall’Islam, bloccarne l’accesso non è una questione religiosa, ma nazionale. Il governo ci lavorerà, ma ci vuole tempo».
Il tempo trascorso è già troppo, secondo i membri dello Special Procedures, il più significativo gruppo di esperti del Consiglio per i Diritti umani Onu. In un comunicato scrivono che «le autorità di fatto Talebane non hanno alcuna giustificazione per negare il diritto all’educazione, né in termini religiosi, né tradizionali». Da qui l’appello a «riaprire immediatamente tutte le scuole superiori e gli istituti educativi per le ragazze e le giovani donne».
Per Catherine Russell, direttrice esecutiva dell’Unicef, «questa decisione ingiustificata e miope ha stroncato le speranze e i sogni di oltre un milione di ragazze e rappresenta un’altra triste pietra miliare nella costante erosione dei diritti delle ragazze e delle donne a livello nazionale». Dall’Italia Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia, chiede che «il divieto di accesso all’istruzione per le ragazze venga revocato immediatamente, per il loro futuro e quello di tutto il Paese».
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