Afghanistan, al tavolo di Mosca va in scena la tregua di primavera
La conferenza della "troika estesa" con i Talebani No alla solita offensiva di stagione e no alla restaurazione dell'Emirato. Per il resto tante pacche sulle spalle che parlano più dei comunicati ufficiali. Gli Usa vogliono prendere tempo
La conferenza della "troika estesa" con i Talebani No alla solita offensiva di stagione e no alla restaurazione dell'Emirato. Per il resto tante pacche sulle spalle che parlano più dei comunicati ufficiali. Gli Usa vogliono prendere tempo
No all’offensiva militare talebana di primavera e alla restaurazione dell’Emirato islamico d’Afghanistan. Sì alla riduzione della violenza e alla risoluzione politica del conflitto, e che si faccia in fretta.
È la posizione della cosiddetta “troika estesa”, formata dai rappresentanti di Cina, Pakistan, Russia e Stati uniti, riuniti ieri a Mosca per accelerare il processo che dovrebbe condurre alla fine della guerra afghana. Un processo avviato nel febbraio 2020 con l’accordo bilaterale tra Usa e Talebani, proseguito nel settembre di quell’anno con l’inizio del negoziato tra Talebani e Kabul e, poi, rimasto in stallo.
ATTORNO ALL’AMPIO TAVOLO circolare, ieri a Mosca c’erano una trentina di persone. Tra loro, anche la delegazione talebana guidata dal numero due del movimento, mullah Abdul Ghani Baradar, e dai rappresentanti del governo afghano, a partire da Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. Abdullah è tornato a invocare un cessate il fuoco immediato, mentre i Talebani hanno sì dovuto incassare la contrarietà della “troika estesa” alla restaurazione dell’Emirato, ma hanno portato a casa un’altra vetrina internazionale.
E tante pacche sulle spalle. Gesti che in queste occasioni contano come e più dei freddi comunicati ufficiali. Tra le foto più rappresentantive ce n’è una che ritrae mullah Baradar e Zalmay Khalilzad, rappresentante speciale degli Usa, che scherzano tenendosi il braccio. Quella che ritrae Gulbuddin Hekmatyar, già leader del partito armato Hezb-e-Islami, accusato di gravi crimini di guerra, allo stesso tavolo dei Talebani, prima della cena. O ancora quella in cui Hanas Haqqani, del famigerato network jihadista, stringe la mano all’ex presidente afghano Hamid Karzai, che si è detto favorevole a un governo di transizione che includa anche i Talebani. L’appuntamento di Mosca serviva a questo: far sentire la voce degli attori regionali (con qualche assente) e quella dei politici afghani che vogliono essere della partita. Non a caso, era presente una sola donna.
LA FASE È DELICATA. A fine aprile è previsto, secondo l’accordo bilaterale tra Usa e Talebani, il ritiro delle truppe straniere. Il presidente Joe Biden mercoledì ha detto che rispettare la scadenza sarà difficile, ma che in ogni caso non resteranno molto più a lungo. Gli Usa proveranno a guadagnare qualche mese, forse sei. Cercando di portare a casa, nella conferenza di aprile in Turchia, sotto l’egida dell’Onu, un patto politico. Tempi troppo stretti, comunque, per risolvere il conflitto. Il dossier potrebbe essere poi lasciato in eredità alle Nazioni unite.
Mercoledì il segretario generale dell’Onu ha nominato suo rappresentante personale per l’Afghanistan Jean Arnault, diplomatico francese di lungo corso, già rappresentante speciale in Colombia tra 2015 e 2018, anni d’intensa attività diplomatica per porre fine al conflitto. Mai concluso veramente.
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