Rotelli (Rete Lenford): «Adesso puntiamo al matrimonio»
Intervista Antonio Rotelli, co-fondatore della Rete Lenford
Intervista Antonio Rotelli, co-fondatore della Rete Lenford
«Dopo la decisione di Strasburgo il parlamento deve avere un sussulto di dignità e approvare il matrimonio egualitario», afferma Antonio Rotelli, co-fondatore della Rete Lenford, associazione di avvocati per i diritti delle persone lgbt. «Per rispettare la sentenza sarebbero sufficienti le unioni civili, ma si deve andare oltre».
Non basta il ddl Cirinnà in discussione al Senato?
Quel testo stabilisce le unioni civili con molti diritti del matrimonio: e questo può essere positivo. Per arrivare a tale risultato, però, si chiede in cambio agli omosessuali di accettare l’inferiorità per legge rispetto ai cittadini di serie a, quelli etero: gli unici che hanno diritto al matrimonio. Un istituto ad hoc solo per un gruppo di persone è una discriminazione.
Non è un primo passo verso il matrimonio egualitario?
Intendiamoci: io capisco che le coppie omosessuali con i figli «tifino» per il ddl Cirinnà, perché dà tutele alle loro famiglie. Il problema è che se accettiamo qualcosa che non sia il matrimonio egualitario, stiamo rinunciando di fatto alla «pari dignità sociale» sancita dall’articolo 3 della Costituzione. Ed è pericoloso farlo in un Paese con tanta omofobia. C’è anche un altro elemento che mi fa essere critico: l’approvazione delle unioni civili può essere addirittura un ostacolo sulla strada della piena eguaglianza.
In che senso?
Oggi viviamo in quello che si chiama un «sistema multilivello di fonti giuridiche»: per le decisioni dei tribunali e della Corte costituzionale conta anche quanto accade fuori dai nostri confini. Quasi tutti i Paesi con una tradizione giuridica comune alla nostra hanno il matrimonio egualitario. Io sostengo che in assenza di una legge sulle unioni civili è più facile che in Italia si arrivi al matrimonio egualitario per via giurisprudenziale, grazie all’influenza positiva di norme e sentenze degli altri Paesi. Invece, in presenza di una esplicita scelta del legislatore in favore di un istituto diverso dal matrimonio, gli spazi di manovra delle corti si riducono. Non a caso il quotidiano dei vescovi Avvenire sostiene le unioni civili come «male minore»: approvarle serve a bloccare la parità di diritti.
Per l’affermazione dei diritti civili lei nutre più fiducia nei giudici che nel parlamento, eppure è stata la Corte costituzionale a ribadire che il matrimonio è solo tra uomo e donna…
Quello che fino ad ora le persone lgbt hanno ottenuto è stato grazie ai tribunali, compresi ovviamente quelli europei. La Consulta è intervenuta con due pronunce, la cui sostanza è che il parlamento deve riconoscere le coppie omosessuali. So bene che la Corte costituzionale italiana non è avanzata come quella degli Usa, e infatti nelle motivazioni di quelle due pronunce ignora il divieto di discriminazione, cioè l’articolo 3 della Costituzione. E tuttavia, è solo grazie ai giudici costituzionali che l’asticella si è alzata rispetto a qualche anno fa: oggi il parlamento non può approvare una norma al di sotto di un certo standard.
Cosa aggiunge la sentenza di Strasburgo in questo quadro?
I giudici europei non potevano imporre l’approvazione del matrimonio egualitario, e quindi non hanno senso interpretazioni «minimaliste» della sentenza, come quelle del senatore Maurizio Sacconi. Strasburgo ha affermato che lo stato italiano ha l’obbligo di garantire il diritto fondamentale alla vita familiare di gay e lesbiche: un diritto che va riconosciuto in forma pubblica. Ora spero che il governo italiano dichiari ufficialmente che rinuncia a fare ricorso contro la sentenza, ammettendo che la Corte europea ha ragione.
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