La lunga, storica amicizia di Alberto Asor Rosa con il manifesto, e personale, nell’ultimo decennio era diventata di affettuosa vicinanza e sostegno. E la sua collaborazione più assidua, attenta, stimolante e preziosa. Gli auguri per uno dei nostri compleanni (quello del 28 aprile 2010, nel quarantennale) che ripubblichiamo, ne sono una vera testimonianza.

Nei tempi più recenti gli articoli si sono interrotti, ma la conversazione è continuata nonostante le condizioni di salute di Asor, fino al silenzio degli ultimi mesi. La sua voce simpatica, ironica, annunciava l’articolo, spesso inviato in redazione via Fax e presentato da un primo foglio con brevi scritture, rigorosamente a penna, naturalmente riferite al tema trattato, ma che anche ne esulavano con epigrammatiche riflessioni a margine. Per esempio: «Ho cercato di scrivere secondo ragione. Però non sempre la ragione ha ragione».

Oppure: «Ho messo dentro un po’ tutto: compresa l’utopia (una volta c’era anche quella, o no?)». Impossibile restituire la complessità delle sue considerazioni sulle vicende politiche italiane, sulla sinistra, sul paese che Asor (come lo chiamavano in pubblico) osservava e interpretava reagendo, ogni volta, allo sconforto del tempo presente con la formula gramsciana dell’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza, non senza richiamarne per esteso i motivi che ne rendono raccomandabile, anzi inevitabile, l’accoppiata secondo Gramsci: «D’altronde ogni collasso porta con se disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino a ogni sciocchezza».

Di fronte alle degenerazioni dell’assetto politico-istituzionale italiano, il suo impegno militante non consentiva ritirate o facili consolazioni.

Il filo rosso che legava i suoi contributi era improntato a quel «cercare ancora» che ogni persona di sinistra sente ancor prima di capire.

Come nel lungo articolo (L’anello mancante) che ripubblichiamo per ampi stralci, nel quale Alberto riflette sui danni dei governi delle larghe intese, sulla crisi del Pd, sull’antipolitica come «totale assenza di corrispondenza tra interessi e rappresentanza», sulla esiziale autoreferenzialità, sull’abbandono della relazione con il mondo del lavoro, e, infine, sulla questione morale che chiude l’articolo dandogli un impressionante senso storico: «Può un partito come il Pd non disseppellire la questione morale e farne la propria bandiera?».

Punti di crisi diventati via via voragini fagocitanti di una prospettiva, lontana e urgente, di cambiamento.

Fortissimo anche il suo impegno sulla questione ambientale, come quando aprì una salutare polemica scrivendo sulle nostre pagine «Operai e padroni, strana alleanza» a proposito della questione dell’Ilva (anno 2012), avanzando la prospettiva di un neo-operaismo e un neo-ambientalismo.

Ma Alberto Asor Rosa è stato per me anche un maestro. Già nei primissimi anni, quando con simpatia e consigli seguiva la contestazione del collettivo di Lettere e Filosofia della Sapienza, e in gruppo andavamo a trovarlo.

Oggi siamo in tanti a piangerlo, ci mancherà il suo pensiero profondo, il suo sguardo comprensivo e benevolo.