Cultura

Addio all’architetto catalano Ricardo Bofill, dall’edilizia popolare al Postmodernismo

Addio all’architetto catalano Ricardo Bofill, dall’edilizia popolare al PostmodernismoIl complesso del Walden 7 realizzato da Bofill nel 1975

Ritratti Scomparso a Barcellona, sua città natale, il 14 gennaio scorso, l'artista sperimentò nuove soluzioni per gli alloggi sociali, in diretta polemica con i modelli dell’esperienza anglosassone, prima di abbracciasse la causa postmoderna

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 20 gennaio 2022

Ora che da almeno un trentennio si è estinta la discussione di quello che fu l’ultimo autentico duello in architettura tra i sostenitori dell’uso degli stilemi del passato e i difensori della continuità con il progetto del moderno, sarà l’occasione di esaminare l’architettura del catalano Ricardo Bofill (1939-2021), scomparso a Barcellona, sua città natale, il 14 gennaio scorso, nella sua integrità. In altre parole non limitarsi al suo periodo più controverso, quello del Postmodernismo, che lo rese celebre per la sfrontatezza nell’uso di colonne, timpani e cornici e non per un singolo edificio, ma per intere parti di città. Ebbe, infatti, la fortuna di vedere realizzati come pochi altri architetti della sua generazione e della sua stessa tendenza storicista, quartieri come il Distretto Antigone (1979 -1999) a Montpellier: trentasei ettari di area edificata con residenze, piazze e uffici distribuiti lungo un asse di collegamento tra il centro storico della città francese e il fiume Lez.

UN «PEZZO DI CITTÀ» dove Bofill con il suo studio, il Taller de Aquitectura, proporzionò applicando il numero aureo, architetture, viali e giardini, preoccupandosi al tempo stesso come l’intero masterplan potesse prevedere la prefabbricazione per ridurre tempi e costi. A riguardo ne aveva già sondate le possibilità a Noisy-le-Grand, un sobborgo di Parigi, con il complesso di edilizia popolare Espaces d’Abraxas (1978-1983). Oggi l’abitato che ha rischiato di essere demolito per il suo grave stato di degrado e nonostante la stessa ammissione di fallimento fatta dallo stesso Bofill, è meta di visite guidate perché anche il «classicismo kitsch» ha assunto la sua legittimità e fa spettacolo «il pendolare – come scrisse Kenneth Frampton – che s’illude di vivere in un palazzo da opera lirica».

Prima, quindi, che Bofill abbracciasse la causa postmoderna e la sua facciata facesse la sua comparsa nella «Strada Novissima» alla Biennale di Portoghesi del 1980, di fronte a quella di Krier, Venturi e Graves, nei primi anni Sessanta si dedicò a una ricca ricerca sull’abitare sociale in diretta polemica con i modelli dell’esperienza anglosassone e con la volontà di sperimentare nuove soluzioni aggregative dell’alloggio, quindi di originali configurazioni tipologiche.

Il primo progetto di edilizia popolare dell’architetto catalano che a scala urbana esprime già un’insofferenza verso la tradizione della modernità architettonica è il quartiere Barrio Gaudì (1964) a Reus (Tarragona), seguiranno il villaggio turistico Plexus, i condomini La Muralla Roja (1968) e Xanadù (1971) sulla costa di Calpe (Alicante).

Il Mediterraneo sarà per Bofill uno spazio accogliente per le sue eclettiche invenzioni nelle quali convergeranno molte suggestioni: l’architettura araba della casbah e il vernacolo locale, i castelli fatati delle fiabe e la poesia visiva del Surrealismo. D’altronde non dirà: «Magritte conta più di Mies Van der Rohe»?

Rifiuterà lo spazio dell’abitare lineare e dalla semplice stereometria per qualche cosa di organico e complesso, per cui flessibile e modulare, che si origina da incastri di percorsi e alloggi governati secondo stringenti regole logico-matematiche. Il complesso residenziale per millecinquecento abitanti a Madrid denominato la Ciudad en el Spacio, sarà l’elaborazione teorica della città bofilliana che troverà espressione a Barcellona prima nell’abitato El Castillo Kafka (1968), poi nella sua forma ancor più maestosa del Walden 7 (1975).

L’antimodernismo dell’architetto catalano, approdato al pastiche stilistico per insoliti percorsi, ebbe origine proprio negli anni nei quali immaginò questi nuovi centri urbani densi e verticali dove contava, come disse, «l’antipurismo, l’imperfezione e il disordine istituzionalizzati come alternativa».

IL DESIDERIO DI COSTRUIRE «nuove città « in grado di «interpretare i sogni inconsci dell’uomo», si scontrerà negli anni successivi con le trasformazioni del mercato e della professione. Bofill si renderà interprete come architetto di grido per ambiziosi programmi edilizi per soddisfare le richieste di un variegato establishment politico: da Giscard d’Estaing per il quartiere delle Halles di Parigi a De Luca con il waterfront di piazza della Libertà e Mezzaluna a Salerno.

La sua produzione vastissima e dislocata in ogni continente ormai non aveva più nulla in comune con le sue prime ricerche all’interno della cosiddetta «scuola di Barcellona». Come per altri l’eresia aveva lasciato il posto al disincanto, l’utopia al realismo.

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