Europa

Addio a Jacques Delors, architetto e muratore dell’Europa

Addio a Jacques Delors, architetto e muratore dell’EuropaJacques Delors – Ap

Ue Presidente della Commissione europea per dieci anni, è morto nel sonno a Parigi all’età di 98 anni, nel momento in cui l’Unione sta entrando in un periodo oscuro. Padre dell’Atto unico, dell’Erasmus, degli accordi di Schengen: «Aveva una visione e un metodo che hanno rilanciato l’integrazione come progetto storico»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 28 dicembre 2023

Jacques Delors, presidente della Commissione europea per dieci anni (1985-95), è morto ieri nel sonno a Parigi all’età di 98 anni. Delors, «infaticabile artigiano della nostra Europa, combattente della giustizia umana» per Emmanuel Macron, «un gigante» per la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, «un visionario che ha reso la nostra Europa più forte», per Ursula von der Leyen oggi alla testa della Commissione, «un militante e uomo d’azione che agiva pensando al bene comune» secondo Jean-Luc Mélenchon, scompare nel momento in cui la Ue sta entrando in un periodo oscuro, con la prospettiva di un’avanzata dell’estrema destra alle prossime elezioni europee.

Delors, l’uomo della seconda costruzione europea dopo i padri fondatori, che ha gettato le basi dell’unione monetaria, dell’euro, se n’è andato lo stesso giorno del tedesco Wolfgang Schäuble, il falco dell’austerity, storico presidente della Cdu e rigido ministro delle finanze. Durante la presidenza di Delors a Bruxelles è stato varato l’Atto unico (1986) che ha portato al compimento il mercato unico, era alla testa della Commissione al momento di Maastricht (1991).

Delors è anche il padre degli accordi di Schengen, che hanno permesso la libera circolazione delle persone. Gli studenti gli devono Erasmus: «Ho avuto l’idea ancora prima di essere presidente della Commissione – ha spiegato – il mio problema era di convincere Margaret Thatcher. Ci sono riuscito».

Al momento della caduta del muro di Berlino, Delors ha governato da Bruxelles gli effetti della riunificazione tedesca e della zeitenwende della fine del comunismo. In Francia, il suo nome è invece legato alla svolta del rigore del 1983 sotto la presidenza Mitterrand (era ministro dell’economia) e soprattutto alla grande rinuncia a presentarsi alle presidenziali del 1995, come candidato socialista, perché temeva di non avere la maggioranza per attuare il suo progetto europeista e realista.

Delors, che aveva lavorato alla Banque de France e al Commissariato al Piano, veniva dal sindacalismo cattolico (Cftc). In Europa, «ha fatto quello che faceva meglio, cioè immaginare – ricorda Pascal Lamy, ex commissario europeo e ex presidente della Wto – è arrivato a Bruxelles con un progetto social-democratico e con l’obiettivo di far avanzare un progetto interno». Delors aveva spiegato gli obiettivi dell’Atto unico: «Mi sono detto che, forse, il grande mercato sarebbe piaciuto ai liberali, certo, ma anche ai socialisti, perché è una prospettiva di crescita di ricchezza e dei mercati».

Era un socialista vicino alla “seconda sinistra”, un internazionalista. «L’era Delors è il momento europeo che tutti ricordano – afferma Lamy – quando va bene si dice: ai tempi di Delors andava meglio, e quando non va si dice: con Delors andrebbe meglio». Per Lamy, Delors, «aveva una visione e un metodo che hanno rilanciato l’integrazione come progetto storico», «resterà come uno dei pensatori che hanno costruito l’Europa, ne è stato contemporaneamente l’architetto e il muratore».

Delors ci ha insegnato che il progetto europeo «è l’interesse della Francia e dell’Europa contemporaneamente», ha affermato ieri il ministro dei Trasporti, Clément Beaune, che si definisce “delorista”. La sua eredità è l’Istituto Jacques Delors, oggi presieduto da Enrico Letta.

Delors aveva ripetutamente messo in guardia sulle difficoltà dei ritardi nella costruzione europea. Sulle difficoltà di una «moneta unica senza coordinamento della politica economica». Ma aggiungeva: «L’economia non funziona senza il sociale», pur mettendo avanti la prudenza: «Non possiamo redistribuire una ricchezza che non abbiamo prodotto».

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