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Acque reflue per resistere in Palestina

Acque reflue per resistere in Palestina

Buone pratiche La storia dei produttori agricoli di Beit Dajan, un piccoli villaggio in Cisgiordania, che hanno partecipato a un progetto di recupero di risorse idriche

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 marzo 2023

Anche fare agricoltura è una forma di resistenza in Palestina. Lo raccontano i produttori di Beit Dajan, villaggio di circa 5000 abitanti del Governatorato di Nablus, in Cisgiordania, che hanno partecipato al progetto Acque Reflue Depurate (ARD): Sistemi d’Irrigazione per l’agricoltura sostenibile realizzato dall’Ong WeWorld e la Cooperativa Camilla – emporio di comunità, in collaborazione con la locale municipalità. L’intervento mirava ad attivare processi partecipativi nel recupero e l’utilizzo in agricoltura delle acque reflue, in una zona segnata dallo scarso accesso alle risorse imposto dai coloni israeliani.

«IN PALESTINA IL COMPARTO agricolo è molto colpito dalle politiche della forza occupante. La difficoltà di accesso alle risorse fa sì che ci sia un abbandono di questo settore perché non economicamente sostenibile e quindi anche delle terre» spiegano da WeWorld, ricordando come, in seguito degli accordi di Oslo, circa il 61% dei territori della West Bank, in cui si trova anche Beit Dajan, fa parte dell’area C, interamente sotto al controllo israeliano: «Chi vive in queste aree, in cui continuano ad espandersi le colonie israeliane, ha seri problemi ad accedere ai servizi di base e alle materie prime. Il nostro intervento è volto a garantirvi un accesso equo, sostenibile e sicuro per le comunità della Cisgiordania», ha evidenziato.

DA UN PAIO D’ANNI CIRCA LA METÀ dei terreni di Beit Dajan è stata occupata da una colonia, rendendo impossibile l’accesso alle proprie terre per agricoltori e allevatori palestinesi. Non è una situazione particolare: è la norma, tanto che gli abitanti del villaggio temono che ben presto arriveranno altri occupanti, seguendo quello che è il consueto modo utilizzato dagli israeliani per insediarsi sui territori.

NE HANNO PORTATO testimonianza alcuni produttori del villaggio venuti in Italia con il progetto ARD: «I cittadini di Beit Dajan subiscono quotidianamente delle limitazioni alla loro vita a causa della colonia. Abbiamo creato una commissione locale per denunciare la totale illegalità dell’insediamento, che sorge su terreni privati e ogni venerdì facciamo delle manifestazioni, ma, nonostante siano del tutto pacifiche, l’esercito israeliano utilizza diversi tipi di armi per contrastarci», ha raccontato Nasser Abujaish, spiegando come spesso le azioni messe in atto dai militari si traducano in gesti indiscriminati volti a rendere impossibile la vita nei territori, sradicando alberi da frutto, distruggendo le strutture pubbliche in costruzione e ostacolando ogni forma di stanzialità.

GARANTIRE L’ACCESSO ALL’ACQUA diventa quindi vitale per la sopravvivenza della comunità nei pochi terreni rimasti a disposizione. Il progetto delle Acque Reflue Depurate fa parte di un intervento più ampio chiamato Menawara portato avanti da WeWorld insieme a numerosi partner quali il Centro Ricerche Desertificazione dell’ Università di Sassari, il Centre International de Hautes Études Agronomiques Méditerranéennes, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari, il Centro nazionale di ricerca agricola della Giordania, l’Office National dell’Assainissement in Tunisia e la Fundación Centa, Centro de las Nuevas Tecnologías del Agua spagnolo. Esso è nato con lo scopo di ridurre l’insicurezza idrica in alcune aree critiche del Mediterraneo, promuovendo sistemi non convenzionali di irrigazione.

A BEIT DAJAN IL PROGETTO SI È INSERITO come continuazione di un intervento, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, che aveva dato impulso alla creazione di un’associazione di utilizzatori delle acque reflue insieme alla municipalità e ha portato alla riabilitazione di un sistema di irrigazione efficiente che, trasportando fino a 4 km le acque depurate attraverso il procedimento biologico con i fanghi attivi, permette di irrigare 8 ettari di terreni coltivati ad ulivi, agrumi e mandorli.

IL COINVOLGIMENTO DELLA COOPERATIVA Camilla – emporio di comunità, prima food coop italiana con sede a Bologna, che, attraverso i soci distribuisce prodotti scelti secondo criteri di sostenibilità ambientale e sociale tenendo conto dell’intera filiera, dalle materie prime, allo smaltimento, alle condizioni dei lavoratori e promuovendo l’agricoltura contadina, biologica e biodinamica, è stato importante nell’ottica di creare sinergie.

In un duplice scambio proficuo, il progetto ha permesso di invitare in Italia i produttori palestinesi creando un contatto con alcune realtà della rete di Camilla e a due soci di questa, Giovanni Notarangelo, tra gli ideatori della Cooperativa e Angelo Gurrieri, produttore dell’azienda agricola siciliana Gisira Bio, di recarsi a Beit Dajan: «A partire dall’esperienza di Camilla, abbiamo parlato di tecniche agroecologiche e della distribuzione di prodotti scelti con criteri etici a una comunità di persone che condivide gli stessi principi» ha raccontato Notarangelo: «Abbiamo conosciuto le realtà locali, come la Palestinian Fair Trade Association e Canaan, che distribuiscono all’estero i prodotti dei piccoli agricoltori e di incontrare Saad Dagher, agronomo palestinese che da 25 anni diffonde l’agroecologia. Ci siamo resi conto delle difficoltà di approvvigionamento idrico di queste aree e dell’importanza di progetti come questo».

ORA L’ASSOCIAZIONE DEGLI UTILIZZATORI espanderà la rete idrica in maniera da accrescere gli ettari irrigati e le possibilità di impiego della collettività, sempre se non ci saranno interventi distruttivi da parte delle forze occupanti. «Chiediamo che la comunità internazionale riconosca a noi palestinesi il diritto sui terreni che ci sono stati espropriati» ha affermato nel suo appello Azmy Anaysha, anche lui produttore di Beit Dajan, a conclusione dell’incontro in Italia: «Tutto ciò che vogliamo è che le nostre terre siano riconosciute e che i nostri bambini possano vivere tranquilli come nel resto del mondo».

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