Acqua, servizi pubblici: Meloni come Draghi
Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale di economia politica. A cura di autori vari
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Sin da subito avevamo definito il governo Meloni come «Agenda Draghi più manganello». E se il manganello si è subito reso evidente nei confronti dei diritti delle donne, dei migranti e dei poveri, la continuità col governo Draghi si evince dalle politiche di fondo, a partire -ed è tema di attualità- dai decreti attuativi del Disegno di Legge Delega sulla Concorrenza e il Mercato.
Il disegno di legge del governo Draghi, che prevedeva l’obbligo sostanziale per i Comuni di mettere sul mercato tutti i servizi pubblici locali, era stato respinto da una campagna dal basso, che, a partire dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, aveva coinvolto moltissime reti e organizzazioni sociali e decine di Consigli Comunali. Anche dentro il Parlamento si era aperta più di una faglia e, alla fine, il disegno di legge approvato, pur mantenendo un impianto culturale liberista, aveva sostanzialmente sancito l’equivalenza tra le modalità di gestione dei servizi pubblici locali, obbligando il governo Draghi a una significativa retromarcia sulla strategia compulsiva delle privatizzazioni.
Ma il veleno sta nella coda e uno degli ultimi atti del governo Draghi fu l’approvazione del decreto applicativo del disegno di legge delega sulla concorrenza, testo che è ora all’esame delle Commissioni di Camera e Senato e che tornerà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva entro il 10 dicembre.
Un decreto applicativo dovrebbe solo rendere esecutivo quanto stabilito nel disegno di legge delega, ma nella nostra democrazia svuotata ogni colpo di mano è possibile. Ed è così che, quanto buttato fuori dalla porta dalla discussione parlamentare, è rientrato dalla finestra.
Il testo al vaglio delle Commissioni contiene infatti: a) il divieto per i Comuni di gestione attraverso azienda speciale dei servizi a rete (art. 14, comma 2, lettera d); b) l’obbligo per i Comuni di motivare, in caso di gestione diretta di un servizio, le ragioni del mancato ricorso al mercato (art. 17, comma 2); c) la supervisione da parte di un organismo governativo – l’Osservatorio per i servizi pubblici – sulle delibere autonomamente adottate dai Comuni in merito ai servizi pubblici locali (art. 17, comma 3).
Se i punti b) e c) erano stati ritirati in seguito alla discussione parlamentare, il punto a) non era addirittura neppure presente nel testo originario. Siamo quindi in presenza di un decreto applicativo che, in totale sfregio delle norme costituzionali, riscrive una legge indipendentemente da quanto approvato dal Parlamento.
Che farà il nuovo governo Meloni, che si vantava di essere l’unica opposizione al governo Draghi? E l’insieme del Parlamento accetterà questo «eccesso di delega» che stravolge quanto democraticamente stabilito nelle Aule, svilendone ancora una volta ruolo e funzioni? E potrà l’Anci accettare l’ennesima umiliazione per gli enti locali, impediti a decidere in autonomia sui servizi pubblici locali delle proprie comunità territoriali?
Mentre la crisi eco-climatica e l’emergenza sociale indicano in un nuovo ruolo dei Comuni l’unica possibilità di costruire un altro modello ecologico, sociale e relazionale, gli enti locali vengono continuamente svuotati della propria funzione pubblica e sociale e le comunità territoriali vengono espropriate di beni comuni, servizi pubblici e ricchezza collettiva.
Occorre mettere in campo una fortissima pressione sul Parlamento per impedire questo ennesimo colpo di mano contro l’acqua, i beni comuni e i diritti. Occorre costruire tutte e tutti insieme la campagna «Riprendiamoci il Comune» che, con due leggi d’iniziativa popolare, da gennaio inizierà ad invertire la rotta.
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