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Acqua pubblica, la Carta di Bari e la bella vittoria di Torino

La riscossa degli acquaioli Se gli italiani dovessero dipendere dai privati, ci vorrebbero più di 200 anni per rinnovare l’intera rete idrica. I privati non investono, ma non abbandonano la bramosia d’impadronirsi del sistema idrico […]

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 18 ottobre 2017

Se gli italiani dovessero dipendere dai privati, ci vorrebbero più di 200 anni per rinnovare l’intera rete idrica. I privati non investono, ma non abbandonano la bramosia d’impadronirsi del sistema idrico nazionale facendone pagare i costi ai cittadini.

A questo riguardo, le regioni del Mezzogiorno restano un obiettivo maggiore, in particolare la Puglia e la Campania.
L’obiettivo prioritario è ottenere l’apertura del capitale dell’Acqua pubblica al settore privato, dietro la motivazione che i poteri pubblici non dispongono delle risorse finanziarie sufficienti. Il meccanismo cui i privati farebbero ricorso è dei più classici. Ottenere anzitutto un forte aumento della tariffa dell’acqua per i primi 4-5 anni tra il 4 ed il 7% affinché il rendimento del capitale immesso dai privati possa essere rapido e significativo.

TOTALE ADESIONE, da parte dei poteri pubblici alla teoria capitalistica mercantile dell’acqua fondata sul principio che la tariffa pagata dall’utente deve finanziare tutti i costi del servizio, compreso il profitto. Se questa condizione non fosse rispettata, dicono, nessun capitale privato sarà disposto ad investire nell’Aqp. Ottenere, in secondo luogo, dalle autorità pubbliche l’accettazione di estendere al di là del servizio idrico integrato il campo di azione dell’Aqp in altri settori quali i rifiuti, l’energia, l’ambiente in generale. Fare dell’Aqp una grande multiutilities per di più interregionale del Mezzogiorno- promuovendo una serie di alleanze, fusioni e concentrazioni con altre imprese più piccole del Molise, dell’Abruzzo, della Lucania, della Calabria e, a più lungo termine, con le imprese di Napoli – costituisce il terzo elemento strategico della presa di controllo dell’Aqp da parte dei capitali privati.

IL BELLO È CHE questo progetto piace alla maggioranza della classe politica pugliese. Essa però ha esitato a farne una scelta esplicita, pubblica. Il che spiega il silenzio sul futuro dell’Aqp dietro il quale si è « nascosto » da più di un anno e mezzo il presidente della regione Puglia. Un silenzio dovuto verosimilmente al fatto che, forse, non era pronto a fare il salto. Il salto, in effetti, sarebbe epocale: l’Aqp cesserebbe di essere una SpA in house quasi pubblica perché non sarebbe più sottomessa al controllo analogo da parte dei poteri pubblici della regione, diventerebbe una multiutilities attiva in altri settori al di là dell’acqua e opererebbe in altre regioni fuori la Puglia.

L’ORGANIZZAZIONE del Festival dell’acqua a Bari proprio nel palazzo dell’Acquedotto Pugliese nei giorni scorsi ad opera di Utilitalia, la federazione italiana delle multiutilities e che vede attivamente coinvolte Acea, Hera, Iren, A12, Suez, Veolia e tutta la crema del mondo tecnoscientifico italiano al servizio del settore privato, deve essere interpretata come un segno della disponibilità finale delle autorità pugliesi a fare il salto?

È IN QUESTO CONTESTO che l’iniziativa presa dagli acquaioli del Mezzogiorno di elaborare ed approvare il 7 ottobre la «Carta di Bari » è di grande importanza. La Carta riafferma che i cittadini del Mezzogiorno vogliono partecipare attivamente alle decisioni sul divenire delle acque delle loro regioni. Riafferma altresì la loro opposizione a fare del diritto umano all’acqua per la vita una fonte di profitto. I costi del diritto non devono essere pagati dagli aventi diritto come consumatori ma finanziati come cittadini dalla fiscalità e dalla collettività. La «Carta di Bari» propone cinque priorità d’azione per una efficace politica pubblica dell’acqua del Mezzogiorno centrata sulla cura, la protezione, la prevenzione e la partecipazione responsabile dei cittadini alla gestione del bene comune acqua.

STRAORDINARIO, nel mentre i campani e i pugliesi adottavano la «Carta di Bari», gli acquaioli di Torino sono riusciti dopo più di dieci anni di lotta tenace, grazie all’impegno della maggioranza del consiglio comunale di Torino guidata dal M5S, ad ottenere la trasformazione della società di gestione dell’acqua SpA Smat in un’azienda di diritto pubblico. Una grande vittoria. A quando la stessa cosa per l’Aqp?

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