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Accordo sì, no, forse: Cop28 vara la divinazione climatica

Accordo sì, no, forse: Cop28 vara la divinazione climaticaSultan Ahmed Al Jaber – Ansa

Una brutta aria L’idea di Al Jaber: bozza pessima senza addio al petrolio per strappare un patto mediocre

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 13 dicembre 2023

Prima ore di caos, poi una giornata di calma piatta. A Cop28, nel momento in cui scriviamo, regna il silenzio. Chi era venuto fino a Dubai per fare affari è tornato a casa, e all’Expo Centre sono rimasti solo delegati e giornalisti.

I punti sul tavolo sono sempre gli stessi: il phase-out, l’abbandono dei combustibili fossili, e i fondi per transizione e adattamento nel Sud globale. La bozza presentata due giorni fa dalla presidenza, di cui vi abbiamo dato conto ieri, non portava a casa né l’uno né l’altro obiettivo. Per questo la maggioranza delle Parti aveva annunciato battaglia: con diverse geometrie, il fronte dei delusi andava dall’Unione Europea all’Alleanza dei piccoli stati insulari, dall’Unione Africana al Brasile. La battaglia c’è stata, ma alle Cop gli scontri più importanti sono nascosti, consumati nel privato delle cene tra ministri.


PER I MEDIA È LA GIORNATA della divinazione. Ogni notizia che arriva è interpretata alla ricerca di qualche segno sull’andamento del negoziato. In mattinata France Press rivela una serie di virgolettati provenienti da un incontro dei paesi produttori di petrolio in corso a Doha, in Qatar. E sono dichiarazioni infuocate anche per gli standard bellicosi dell’Opec. Saad al-Barra, ministro del petrolio del Kuwait, ha accusato l’occidente di voler «dominare l’economia globale attraverso le energie rinnovabili». Il phase-out, per al-Barra, è «un’aggressione». Il verdetto della sala stampa è in maggioranza negativo: queste frasi sono il segno che l’accordo è lontanissimo. Alcune ore dopo Reuters fa sapere che l’inviato speciale per il clima statunitense John Kerry ha detto che «il nuovo testo avrà un linguaggio più ambizioso sui combustibili fossili».

Nuovo verdetto, siamo vicini ad un consenso sul phase-out. La verità è che nessuno è certo di cosa uscirà dalla seconda notte di trattative no-stop. Le delegazioni hanno smesso di rilasciare dichiarazioni ai giornalisti, e anche gli analisti tacciono. Nessuno vuole rischiare di dire qualcosa che potrebbe essere superato dagli eventi nel volgere di poche ore. Ci sono però delle considerazioni che si possono abbozzare già con gli elementi che abbiamo in mano.

IN PRIMIS, È NOTEVOLE la timidezza cinese e statunitense. Se tanto si è scritto delle posizioni europee, saudite, del G77 – l’unione di 130 paesi in via di sviluppo – ancora poco sappiamo delle idee di Washington e soprattutto di Pechino, quest’ultima quasi silente in questo negoziato. Eppure di clima hanno parlato a lungo Xi Jinping e Joe Biden durante il loro incontro di novembre a San Francisco. E ancora di più ne hanno parlato Xie Zhenhua e John Kerry, inviati per il clima dei rispettivi governi e grandi saggi della diplomazia sino-americana, nel cosiddetto vertice di Sunnylands di poche settimane fa. Solo Usa e Cina hanno le leve per portare al compromesso l’Unione Europea da un lato, la Russia e l’Iran dall’altro. Ed entrambi possono offrire molto sia alle petromonarchie sia ai paesi in via di sviluppo. Difficile pensare che le due grandi potenze mondiali non abbiano un piano per questa Cop, oggi potrebbe essere il giorno per vederlo in azione.

SECONDO, LE COP sono anche un gioco di aspettative. Gli Emirati hanno promesso un accordo soddisfacente, e mancarlo sarebbe uno smacco per le ambizioni diplomatiche della ricca nazione del Golfo. L’Unione Europea si è spesa con grande chiarezza per il phase-out, e difficilmente potrebbe lasciare Dubai con un testo che non usi queste parole – pena l’ammissione di una sconfitta. Anche le petromonarchie e i paesi Opec si sono espressi con inusuale durezza, e un loro cedimento totale è difficile. Nessuno può rinunciare del tutto alle proprie posizioni. Per questo una delle letture che molti sussurrano a microfoni spenti è che il testo presentato da Al Jaber, così deludente per quasi tutte le Parti, fosse una tattica. L’idea, cioè, sarebbe quella di usare una base negoziale pessima per giustificare un accordo finale mediocre, che però tutti potrebbero rivendersi in patria come di successo – o almeno, non come umiliazione – grazie al paragone con lo scampato pericolo della vecchia bozza. Aspettative, appunto. Ma si tratta, ovviamente, di speculazioni.

LA TERZA CONSIDERAZIONE riguarda il fronte dei paesi in via di sviluppo, quella composita alleanza – tendenzialmente raggruppata nel già citato G77, a Cop28 rappresentato alternativamente da Cuba e Bolivia – in maggioranza moderatamente scettica sul phase-out ma determinata ad ottenere successi sul fronte finanza e adattamento. Che i paesi più poveri del Pianeta riescano a fare causa comune ed ottenere risultati è un fatto relativamente recente. Ma non è detto che questo fronte regga: come in passato, è sul tavolo che siano proprio loro ad ottenere meno di tutti.

Mentre chiudiamo questo pezzo, le ultime notizie parlano di una nuova bozza in nottata e di plenaria conclusiva domattina. Secondo un leak pubblicato dagli italiani di Italian Climate Network, il linguaggio per il fossile nel documento finale sarebbe «transitioning away»: molto meno impegnativo di «phase-out». Ma tutto potrebbe ancora cambiare.

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