Il sindacalista, dalla baraccopoli alla prima serata in diretta televisiva
Soumahoro Fenomenologia di un leader migrante
Soumahoro Fenomenologia di un leader migrante
«I subalterni posso parlare?» è la domanda che dà il titolo a un saggio ormai piuttosto noto di Gayatri Chakravorty Spivak. Nello specifico, la pensatrice postcoloniale sosteneva che fin quando i subalterni non disporranno di un discorso autonomo saranno condannati a vedere la propria voce pervertita dai linguaggi dominanti.
LA VICENDA che coinvolge l’onorevole Aboubakar Soumahoro verrà inevitabilmente analizzata dal punto di vista del codice penale o secondo gli schemi dell’incoerenza e persino del tradimento, ma merita di essere osservata anche da questo punto di vista. Fin dai suoi primi discorsi pubblici. Come quello pronunciato in piazza a Roma, in occasione del corteo nazionale antirazzista del 17 ottobre del 2009. Si scendeva in piazza a venti anni dalla prima grande manifestazione antirazzista nel nostro paese, quella del 1989 organizzata in seguito all’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, avvenuto nella baraccopoli di Villa Literno, in provincia di Caserta. Soumahoro parla in quanto subalterno. È arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio a 19 anni, dieci anni prima. Nel frattempo si è laureato con il massimo dei voti in sociologia all’università Federico II di Napoli, con una tesi sulla «Analisi sociale del mercato del lavoro». La retorica efficace e l’eloquio forbito quanto occorre lo fanno distinguere. Dalla sua tesi, peraltro, avrà osservato come in Italia, dopo decenni di costante fenomeno migratorio, non è mai nato un ceto medio o una piccola borghesia migrante. È come se si desse per scontato che il migrante debba fare lavori umili e appartenere ai ceti sociali più bassi. È quella che nei suoi discorsi il sociologo Soumahoro definisce «razzializzazione» del lavoro, codificata dalla legge Bossi-Fini che costringe i lavoratori migranti ad accettare qualsiasi condizione contrattuale pena la clandestinità. Soumahoro si muove negli slum del foggiano e della piana di Rosarno, in questa veste diventa Coordinatore del settore agricolo dell’Usb. In quanto dirigente sindacale, Soumahoro viene accusato di metodo poco chiari e di pratiche accentratrici dai movimenti che animano le vertenze di Campagne in lotta. Ma buca lo schermo, diventa personaggio pubblico, va oltre l’area di consenso di riferimento.
C’È UN GIORNO preciso in cui la sua vita conosce una svolta. È l’8 giugno del 2018, un certo Matteo Salvini siede al Viminale. Soumahoro sale sul palco di Propaganda Live, trasmissione de La7 condotta da Diego Bianchi. È qui che il conduttore, la cui cifra è quella di interpretare il ruolo del cittadino di sinistra disincantato di fronte agli accadimenti della politica, lo benedice utilizzando queste parole: «Aboubakar è il mio leader di riferimento in assoluto». L’intervista prosegue fino a quando Bianchi non formula la seguente domanda. «Cosa dovrebbe fare la sinistra?». Soumahoro prende fiato, si prepara alla replica impegnativa, ma Bianchi lo interrompe: «Rispondimi dopo la pubblicità».
LA RAPPRESENTAZIONE di una sinistra orfana di partiti e in cerca risposte che vuole conoscere la soluzione solamente dopo lo spot è emblematica del mondo in cui Soumahoro si ritrova catapultato direttamente dalle baracche di lamiera di San Ferdinando. L’Espresso di Marco Damilano gli assegna una rubrica settimanale, Feltrinelli dà alle stampe il libro-manifesto Prima le Persone. Nel luglio del 2020 Soumahoro convoca gli «Stati popolari», nell’evocativa location di Piazza San Giovanni. Dietro le quinte, i dirigenti di Usb (quelli che pochi anni prima dopo averlo conosciuto constatavano «abbiamo trovato uno bravo») capiscono che gli sta sfuggendo di mano. Poco dopo lascia il sindacato e fonda la Lega dei braccianti, dichiarandosi erede de facto di Di Vittorio. Ma la corsa di Soumahoro appare sempre più individuale. Fino all’ingresso a Montecitorio con gli stivali sporchi di fango. Poi il pianto di qualche giorno fa. In diretta Facebook.
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