Schlein e le vedove del centro
Dopo la Liguria E' subito ripartito il coro che invita la leader del Pd al dialogo coi moderati. Ma per recuperare i voti dei più fragili deve svoltare a sinistra con più nettezza di quanto fatto finora
Dopo la Liguria E' subito ripartito il coro che invita la leader del Pd al dialogo coi moderati. Ma per recuperare i voti dei più fragili deve svoltare a sinistra con più nettezza di quanto fatto finora
La sconfitta del centrosinistra in Liguria ha riaperto l’infinito balletto delle vedove del centro. Tema che in passato è stato persino divertente, ai tempi di Follini e Casini che facevano ballare i governi del Cavaliere, le infinite liti giudiziarie sullo scudocrociato.
Da tempo però l’evocazione del fantomatico centro non fa più neppure sorridere. Perché si basa su un principio vecchio di almeno vent’anni, e cioè che in un sistema tendenzialmente bipolare «si vince al centro». Dalla crisi finanziaria del 2008, e ancor più ora con le destre estreme sempre più vicine al governo dei principali europei (basta guardare all’Afd in Germania) e un Macron sul viale del tramonto, questo motto sembra sopravvivere solo sulle pagine dei principali giornali italiani.
Fino all’arrivo di Schlein, i più illustri editorialisti hanno benedetto la torsione del Pd verso il centro, la vocazione maggioritaria, interclassista, amica dell’impresa, favorevole a leggi che precarizzavano il lavoro come il Jobs act. Sempre di più, per poi accusare i dem di prendere voti solo nelle ztl. Poi arriva Elly, e tutti gridano che con un Pd estremista si apriranno «praterie al centro». Renzi per primo, gli editorialisti al seguito: il Pd «con l’eskimo» farà una brutta fine.
Le cose non sono andate così: Schlein in questo anno e mezzo ha evocato, più a parole che nei fatti, un Pd con un’identità più di sinistra, ha iniziato a parlare di lavoro povero e di proposte contro la precarietà, di difesa della sanità pubblica, e i voti sono cresciuti. Succede poi che i due superstiti dioscuri del centro, Renzi e Calenda, restino addirittura fuori dall’europarlamento mentre il Pd arriva al 24%. Nelle redazioni si sparge il panico: ora Schlein proporrà i soviet?
Che fare quindi per indurre la segretaria a «guardare ai moderati»? Inventarsi una resurrezione di Renzi alla partita del cuore (un errore di Schlein, che poi ha avuto il torto di lasciare che il rottamatore recitasse la parte del figliuol prodigo per tutta l’estate), risospingerlo vicino a un Pd che lui vuole distruggere sin dal 2019 (come Macron con i socialisti francesi) e così terremotare la già fragile alleanza tra Pd, M5S e verdi-sinistra.
In Liguria, pur presente una lista centrista con dentro Azione, gli elettori di Calenda e Renzi hanno votato Bucci per ragioni quasi antropologiche: il neo governatore è un centrista che parla solo di grandi opere e infrastrutture, non gliene frega nulla del welfare e vuole più cemento e più turisti. È perfettamente sovrapponibile ai due alfieri del centro, e non a caso Italia Viva lo ha sostenuto in Comune con un assessore.
Orlando aveva un’altra mission: recuperare voti di sinistra e astensionisti, col messaggio che la politica può ridurre le diseguaglianze. In larga parte del territorio di Genova c’è riuscito: la mappa del voto indica che il centrosinistra è andato forte non nelle zone ricche ma nelle periferie. Il suo lavoro ha funzionato nel capoluogo, tanto è vero che ha preso 8 punti più di Bucci che è sindaco della città, ma nel ponente e nelle cosiddette aree interne non è riuscito a convincere le persone più distanti dalla politica a tornare alle urne. Anzi, l’astensione è aumentata anche rispetto alle europee.
E in più il candidato dem è stato zavorrato da una faida suicida tra Conte e Grillo sul contratto di consulenza del fondatore a urne aperte, che ha certamente pesato sullo scarso risultato del M5S che poteva pescare nel vasto popolo dei comitati contro le opere volute da Bucci. Orlando si è candidato in alternativa al sistema Toti e anche al Pd precedente, con una proposta più radicale e di sinistra. Ha perso di 9mila voti.
Ma la lezione qual è? La prossima volta Pd e alleati dovrebbero presentare una proposta più annacquata? O invece quello di Orlando è un primo passo nella giusta direzione, frenato dalla comprensibile sfiducia della parte più fragile della società che non vota più? Il tentativo delle vedove del centro è sempre lo stesso: riportare il Pd alla fase pre-Schlein. A quell’ipotesi di alleanza privilegiata con Calenda che Letta aveva coltivato alle politiche del 2022, e che avrebbe portato un risultato ancora più sconfortante del 19%.
La segretaria non dovrebbe ascoltare queste sirene e tirare dritto per la sua strada, con più nettezza, sul modello del Fronte popolare francese che ha avuto un risultato straordinario alle ultime legislative con proposte di sinistra, altro che moderati. Così si può tentare di riportare le persone sfiduciate alle urne, non inseguendo un centro che esiste solo nelle teste di chi è disposto a ingoiare 10 anni di Meloni piuttosto che cambiare qualcosa nella distribuzione del potere e della ricchezza.
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