Aaron Sorkin: «Ho voluto onorare la contestazione»
Cinema Intervista con il regista del film «The Trial of Chicago 7» che racconta il processo «esemplare» di Nixon all’intera sinistra della controcultura. Dal 30 settembre nelle sale e poi su Nefflix
Cinema Intervista con il regista del film «The Trial of Chicago 7» che racconta il processo «esemplare» di Nixon all’intera sinistra della controcultura. Dal 30 settembre nelle sale e poi su Nefflix
Si è basato sugli atti processuali?
Il processo è durato 6 mesi, gli atti sono lunghi 21mila pagine. Li ho usati alla lettera per alcune fasi. Quando il giudice fa legare e imbavagliare Bobby (Seale), la scena si commenta da sé, non c’era bisogno di alterarla. Altrove li ho usati per trasformare il contraddittorio in qualcosa di teatrale e cinematico, cercando di mantenere fede alla sostanza dei fatti.
Come ha trattato i personaggi?
Rennie (Davis) è ancora vivo, Bobby (Seale) è vivo, ma soprattutto, quando ho iniziato a scrivere era ancora vivo Tom Hayden che è morto nel 2006. Ho potuto passare del tempo con lui ed avere qualcosa che non c’è negli atti o nelle dozzine di buoni libri scritti su quel processo. Lui mi ha raccontato il suo rapporto personale e umano con Abbie Hoffman, compresi i contrasti che ho inserito nel film. Per questo Hayden che è rimasto attivo e militante per il resto della sua vita, ne è la figura centrale.
Vi sono fin troppe analogie con l’oggi in America…
Quando guardo i servizi della Cnn sugli scontri fra polizia e manifestanti a Minneapolis, a Kenosha, Madison e ora a Louisville, mi sembra che se mettessi appena un po’ di filtro alle immagini le avrei potute montare nel film con l’archivio del ’68. Come è possibile che dopo la dolorosa transizione sui diritti civili degli anni ’60, siamo tornati a questo punto? Credo di sentirmi come le decine di milioni di persone che se lo chiedono in America e nel mondo. Siamo terrorizzati e non lasceremo che questo accada.
In che modo?
Il nostro film vuole onorare la contestazione. A essere sincero è una lezione che mi sta dando mia figlia adolescente che il giorno dopo l’insediamento di Trump è andata a Washington alla marcia delle donne. Nelle ultime settimane è stata in piazza con Black Lives Matter e spero che quando vedrà il film capirà che protestare è la forma più onorevole di patriottismo. Non è anti – americano. Spero anche che veda come ogni progresso importante in questo Paese è sempre stato preceduto da contestazioni. Forse capirà che prima della sua generazione c’era chi la pensava come loro e questo le darà la forza necessaria.
Eppure le repressione oggi è quasi maggiore di allora.
Il mio principale timore è che tutto questo venga normalizzato. Churchill diceva che la democrazia è il peggior sistema di governo, tranne per tuti gli altri. Nel film Abbie Hoffman dice di avere grande rispetto per le cariche della democrazia ma non per le terribili persone che le soccupano in quel momento. E le persone terribili che abbiamo ora stanno occupando le loro cariche grazie a chi glielo permette. Non si spiega come molti dei nostri rappresentanti possono mostrarsi in pubblico essendo così conniventi. Né ho una risposta a come sia possibile che milioni di americani abbiamo accettato che un presidente possa mentire. Ma i nostri tempi più bui sono sempre stati seguiti dalle nostre ore migliori. Ci sono le elezioni dietro l’angolo e se posso usare un espressione da Molly’s Game, punto tutto sulla capacità del popolo americano di aggiustare le cose.
Lo dà per scontato? Le elezioni sembrerebbero a rischio.
Ci sono avvocati che se ne stanno occupando in ogni stato. A causa del Covid si stima che possano venire spedite per posta il 65%-70% delle schede per Biden, mentre la maggior parte dei voti per Trump saranno in persona. Lo scenario plausibile vedrà Trump in testa nelle prime ore dello scrutinio la notte delle elezioni e per un paio d’ore potrà sembrare che sia un plebiscito per lui. Ma solo perché i voti per posta non saranno ancora stati contati. E Trump ha dichiarato che potrebbe non accettare un esito che non lo favorisca. Per tradizione democratica – non la legge, ma la tradizione – è il riconoscimento dello sconfitto che legittima il vincitore, avviene sempre così e per questo non abbiamo carri armati in strada. Ora, non credo che nessuno si aspetti che Trump chiami Biden per complimentarsi e assicurargli l’assistenza nella transizione. Ma quello che si prospetta è addirittura che dichiari vittoria la sera stessa delle elezioni e che cerchi di invalidare le schede che sono destinate a giungere a destinazione nei giorni successivi, denunciando brogli inesistenti. Da mesi ormai sta preparando il terreno per questa strategia ed è quindi ormai probabile che assisteremo ad un livello di caos a cui questo paese non è abituato.
Proteste?
Senza dubbio, specie dato che una parte è convinta che esista una «congiura anarchica» per «bruciare i sobborghi» e altre cose del genere. Quindi dobbiamo solo pregare che siano proteste pacifiche. Ma ci saranno contestazioni al cui confronto Chicago nel 68 sembrerà un pic nic.
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