A Vienna Iran e 4+1 resistono a Trump
Accordo sul nucleare Intervista ai due scrittori iraniani Mohebali e Asadzadeh: il risentimento di Teheran e del suo popolo verso gli Stati uniti si intreccia alla volontà di trovare un compromesso
Accordo sul nucleare Intervista ai due scrittori iraniani Mohebali e Asadzadeh: il risentimento di Teheran e del suo popolo verso gli Stati uniti si intreccia alla volontà di trovare un compromesso
A Vienna, la Russia e gli altri paesi firmatari dell’accordo nucleare iraniano del 2015 hanno concordato di elaborare altre modalità per commerciare con la Repubblica islamica indipendentemente dalle intenzioni dell’amministrazione Trump. La delegazione di Teheran ha promesso che non abbandonerà l’accordo nonostante l’atteggiamento bellicoso del presidente statunitense e le sanzioni a stelle e strisce.
«Sanzioni che ricordano il torto già fatto all’Iran vendendo armi all’Iraq nella guerra scatenata da Saddam nel settembre 1980», osserva al telefono da Teheran la scrittrice Mahsa Mohebali, vincitrice del premio Golshiri per il romanzo Non ti preoccupare in cui racconta le avventure di una ragazza tossicodipendente nella capitale minacciata dal terremoto.
Oltre alle sanzioni, Washington minaccia di bloccare le esportazioni di petrolio iraniano, ma i pasdaran replicano di essere pronti a fermare il passaggio delle petroliere nello stretto di Hormuz.
Mentre sale la tensione, abbiamo sentito un altro scrittore a Teheran. Anche le sue opere, come quelle di Mohebali, sono pubblicate in italiano da Ponte33 nella raffinata traduzione di Giacomo Longhi.
Classe 1987, Mehdi Asadzadeh è autore per il cinema, il teatro, la radio e la televisione, il suo romanzo breve L’ariete riporta i pensieri e le emozioni di un giovane di leva. Per Mehdi, «gli iraniani non possono che provare risentimento verso gli Stati uniti, che negli anni Ottanta erano a fianco dei militari iracheni, mentre si sono dimenticati che la Germania ha venduto armi chimiche a Saddam e la Francia ha fornito gli aerei».
La rabbia degli iraniani verso Washington è alimentata dal fatto che il 3 luglio 1988 la portaerei Vincennes aveva abbattuto un aereo di linea della Iran Air facendo 290 vittime: «Un crimine che la comunità internazionale non ha mai condannato, un incidente per il quale gli americani non si sono scusati ma è valsa una medaglia al comandante della portaerei», commenta Mehdi.
«Per questo gli iraniani non hanno fiducia nella comunità internazionale». Al di là del risentimento, «gli iraniani riflettono su quanti danni abbia causato questa inimicizia con gli Stati uniti». «Vogliamo la pace – aggiunge – ma abbiamo motivo di essere diffidenti perché gli americani si sono intromessi più volte nelle nostre vicende interne, non solo durante la guerra Iran-Iraq ma anche nel colpo di stato del 1953 contro il premier Mossadeq» che aveva nazionalizzato il petrolio.
All’indomani dell’incontro di Vienna tra i leader europei e la delegazione iraniana, secondo Mehdi «sebbene l’Europa abbia fatto grandi sforzi per l’Iran, non potrà rinunciare ai rapporti con gli Stati uniti. È quindi probabile che la situazione economica ritorni indietro al 2007, quando le sanzioni erano pesanti. In questi giorni il costante e ingiustificato aumento dei prezzi e l’incertezza economica hanno spaventato gli iraniani, i bazar sono stati teatro di proteste perché la gente cerca di investire nell’oro e di comprare dollari ed euro per fare fronte alla svalutazione del rial».
Per Mahsa «quando il governo non riesce a gestire la situazione, a trarne vantaggio sono i pasdaran. Nelle ultime elezioni, sono stati loro il rivale principale del fronte moderato, adesso faranno di tutto per approfittare del disordine. Non faranno un colpo di stato, ma saranno favoriti alle prossime elezioni», anche perché hanno giocato un ruolo fondamentale nel frenare l’avanzata dell’Isis in Siria e in Iraq.
Di fatto, interrompe Mehdi, «mandando a rotoli l’accordo nucleare, Trump favorisce i falchi di Teheran. Ma non credo si possa costituire una giunta militare, anche perché nella storia dell’Iran i governi dei generali non hanno mai funzionato».
Gli iraniani non vogliono i pasdaran al potere, temono le sanzioni, la povertà e la fame. Ma non hanno paura che si scateni una nuova guerra, anche se ne hanno memoria: «Quest’anno ricorrono esattamente trent’anni dalla fine del conflitto scatenato da Saddam. Trent’anni significano una generazione. È normale che i giovani non abbiano un ricordo della guerra, tuttavia due generazioni fanno di tutto affinché la memoria non vada persa e la storia non si ripeta. I mutilati, i morti per gli attacchi chimici non sono cose che si dimenticano facilmente. Settant’anni dopo, gli europei hanno forse scordato che cos’è stata per loro la Seconda guerra mondiale?», si chiede Mahsa.
Con il fatalismo tipico dei suoi connazionali, Mehdi conclude: «Sono 2500 anni che l’Iran esiste e non è la prima volta che gli abitanti dell’Iran, un paese dalla storia millenaria, attraversano periodi difficili. Anche questi momenti bui passeranno. Troveremo un compromesso con gli Stati uniti».
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