Visioni

A.V. Rockwell: «Ho omaggiato le donne nere di New York, che non è più lei»

A.V. Rockwell: «Ho omaggiato le donne nere di New York, che non è più lei»Teyana Taylor in una scena di «A Thousand and One»

Cinema Incontro con la regista A.V. Rockwell e l'attrice Teyana Taylor, «A Thousand and One», già premiato al Sundance, da oggi in sala

Pubblicato più di un anno faEdizione del 29 giugno 2023

«New York per me è il terzo protagonista del film. Incarna un personaggio un po’ “cattivo” e senza volto, ma stabilisce anche il tono della storia, di quello che Inez e Terry dovranno vivere» spiega la regista A.V. Rockwell. Statunitense di origini giamaicane, A Thousand and One è il suo esordio alla regia, già premiato come miglior film di fiction al Sundance. Da oggi nelle sale italiane, Rockwell lo ha presentato a Roma insieme a Teyana Taylor, l’attrice che si cala nei panni di Inez, giovane newyorchese che, appena uscita dalla prigione, ristabilisce una relazione con il piccolo Terry nonostante le difficili condizioni vissute dalla comunità black alla metà degli anni ’90 nel quartiere di Harlem.

«LA LORO STORIA è sempre una reazione a quello che succede ad un livello più generale a New York – spiega la regista – il primo periodo è scandito dall’elezione a sindaco di Giuliani, come possiamo sentire dai notiziari. Le misure che lui ha preso hanno poi avuto un’influenza sulla città e sulle difficoltà che queste due persone devono affrontare. Poi è la volta di Bloomberg, e così via, in un percorso in cui gli ostacoli aumentano sempre più»

Man mano che la città si “ripulisce” tutto diventa più asettico, dai mattoni rossi si passa al vetro e all’acciaio. Aspetti che ho voluto restituire nel film A.V. Rockwell
. A Thousand and One – il titolo rimanda al numero dell’appartamento condiviso da Inez e Terry, ma anche all’unicità della famiglia che pure potrebbe essere una delle tante – è quindi, come afferma Rockwell, «una lettera d’amore alla città, ma col cuore spezzato». La storia non è direttamente ispirata a quella della regista, ma inevitabilmente i legami sono molti: «Sono cresciuta a New York e volevo raccontare la città di quando ero bambina ma con gli occhi dell’adulta, che riesce a capire molto meglio i cambiamenti che poi sono avvenuti. Era anche un’opportunità di raccontare cosa voglia dire essere una donna nera a New York, allora come oggi. Inez rappresenta tante donne che ho conosciuto e volevo rendere loro omaggio». In questa storia la città è così presente che l’estetica stessa del film muta in base all’aria che si respirava nella Grande mela: «Anche se negli anni ’90 New York era una città apparentemente più malfamata e violenta, era molto più colorata, vibrante e piena di energia. Man mano che la città si “ripulisce”, tutto diventa più asettico, dai mattoni rossi si passa al vetro e all’acciaio. Aspetti che, in accordo col direttore della fotografia, abbiamo voluto restituire nel film e che riflettono anche il viaggio dei due protagonisti: inizialmente la loro vita è più caotica ma anche piena di attesa e ottimismo, alla fine i rapporti si deteriorano e i colori diventano più sobri».

INTERROGATA sullo stato attuale della Grande mela, Rockwell non ha dubbi. «Quello che vediamo nel film è l’inizio del grande sconvolgimento che ha portato alla situazione attuale, in cui la gentrificazione ha preso il sopravvento in tutti i quartieri. La New York che conosciamo e vediamo oggi è totalmente diversa da quella che abbiamo raccontato, e non credo in meglio». L’orgoglio della regista è ancora integro però quando cita due maestri concittadini: «Sono onorata di potermi ispirare a figure come Spike Lee e Martin Scorsese».
L’attrice Teyana Taylor approfondisce invece l’aspetto più emotivo legato al personaggio da lei interpretato, un ruolo non semplice perché in Inez si scontrano emozioni e legge, genitorialità e regole. «È stato l’aspetto più difficile, ma il merito va a questo personaggio che era bello, presente, potente ancor prima che io lo interpretassi, e al quale poi abbiamo aggiunto degli strati. Mi ha permesso di portare sullo schermo diverse emozioni che la regista definisce con i colori: quando essere blu, quando essere verde, quando essere rossa… navigare fra questi poli per me è stato anche terapeutico». Entrambe lodano infine il Sundance, per l’attenzione e il sostegno che il festival continua a apportare al cinema americano indipendente. Un cinema di cui, a guardare A Thousand and One, abbiamo bisogno.

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