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A Tokyo va in onda «Minority Report» per Yakuza e cittadini

A Tokyo va in onda «Minority Report» per Yakuza e cittadini

Giappone Già nel 2015 Hitachi aveva annunciato la nascita di un sistema di rigido controllo in grado di predire il verificarsi «futuro» di un crimine

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 30 maggio 2018

Tokyo, fine giugno 2017. Fuori da un edificio in una zona imprecisata della megalopoli, un drappello di uomini in completo nero presidia l’ingresso di un edificio.
All’interno è in corso una incontro. I partecipanti sono tutti dirigenti e boss della yakuza, la mafia giapponese. Ma questa non sembra una riunione come «normale». Sulle facce dei boss che entrano alla spicciolata nell’edificio per non dare troppo nell’occhio traspare preoccupazione. I partecipanti di alto rango sono tanti, come nelle grandi occasioni.

Nella sala riunioni vengono fatti girare dei documenti. Vietato usare i cellulari: nessuna chiamata, nessun messaggio su Line, l’app di messaggistica istantanea più popolare del Giappone. Ogni partecipante ha in mano un fascicolo. «Ragioniamo sulla Legge anti-cospirazione», si legge nel titolo. È un vero e proprio manuale che riassume, in modo accessibile anche ai gangster, le basi del provvedimento anti terrorismo approvato dalla Dieta giapponese pochi giorni prima di quell’incontro. Secondo quanto riportato dal tabloid Shukan Post, la peculiarità del manuale – cinque pagine appena – è proprio la sua praticità.

«Un membro di un clan yakuza arrestato per aver aggredito il membro di un gruppo avversario che pianifica di ucciderlo a colpi d’arma da fuoco» — si legge nel manuale, stando al resoconto dello Shukan Post — diventa oggetto della Legge anti-cospirazione; al contrario, «Un gruppo di colleghi della stessa azienda che durante una bevuta all’izakaya (i bar notturni giapponesi) parlando male dei propri superiori si fanno trasportare fino a dire ‘ammazziamolo’» no.

La legge anti-cospirazione del governo Abe, entrata in vigore a luglio 2017 punisce la sola pianificazione di oltre duecento reati considerati «gravi», come attentati terroristici o insurrezioni. Gruppi considerati criminali o singoli elementi di questi trovati a fare preparativi per uno dei reati citati nella legge sono perseguibili. I clan di malavita locale, sulle cui attività dalla fine degli anni 2000 i controlli si sono fatti più rigidi, sono obiettivi naturali del provvedimento.

Ma il timore è che, con il pretesto del contrasto al terrorismo, la legge possa colpire più ad ampio raggio. A poche ore dall’approvazione parlamentare, migliaia di persone sono scese in piazza per contestare un provvedimento teso ad ampliare ulteriormente il potere di sorveglianza dello stato. Lo stesso relatore speciale delle Nazioni unite sulla privacy, Joseph Cannataci, ha scritto una lettera denunciando il rischio di violazioni «all’esercizio della privacy e altre libertà fondamentali» in caso di «vasta applicazione del provvedimento».

Una misura che risponde al bisogno «sicuritario» dell’attuale governo conservatore deciso a modificare la Costituzione pacifista del paese e perciò impegnato ad accrescere la percezione di eventuali «minacce esterne» pronte ad abbattersi sul paese arcipelago: i missili nordcoreani, oppure un attacco terroristico di ampia portata — molti giapponesi hanno ancora negli occhi le immagini degli attentati al sarin nella metropolitana della capitale nel marzo del 1995. Sullo sfondo, le preparazioni alle Olimpiadi di Tokyo 2020, nuovo fondamentale momento di apertura al mondo del paese del Sol Levante. Anche se alcuni dubitano che la legge anticospirazione sarà mai applicata, questa potrebbe aver dato nuovo impulso alle attività di sorveglianza di Tokyo. Ad aprile 2017, il sito The Intercept, aveva rivelato, sulla base dei documenti consegnati dall’ex contractor Edward Snowden, che il governo giapponese sin dal dopoguerra ha intrattenuto rapporti con la National Security Agency e aveva sviluppato una vasta rete di sorveglianza sulle telecomunicazioni e su internet su scala nazionale e regionale. Un secondo più recente articolo dello stesso sito, ha poi svelato l’esistenza di un «direttorato per l’intelligence sui segnali» interno al Ministero della Difesa – conosciuto come Dempa-bu, una versione giapponese della Nsa forte di 1700 dipendenti, che riferisce direttamente al primo ministro — in grado di monitorare chiamate, email e altre comunicazioni non solo su utenti singoli ma attraverso il controllo di interi provider di servizi web.

Lo stesso Snowden tra il 2009 e il 2012 aveva lavorato in una base americana in Giappone collaborando proprio con il Dempa-bu.

La Hitachi, ancora nel 2015, aveva annunciato lo sviluppo di un sistema di sorveglianza in grado di predire il verificarsi di un crimine. La notizia aveva subito richiamato alla memoria di molti il romanzo di fantascienza di Philip K. Dick Minority Report, dove la previsione dei crimini è affidata a un gruppo di mutanti in grado di prevedere il futuro. In realtà, il funzionamento dello Hitachi Visualization Suite e della sua espansione Predictive Crime Analytics (PCA) ha ben poco a che vedere con il paranormale. Si basa sui dati, raccolti dai sistemi di sorveglianza già in dotazione ai corpi di polizia – come telecamere per la lettura delle targhe automobilistiche o i sensori per la localizzazione degli spari di pistola – e poi analizzati incrociandoli con variegate serie di dati, dalle statistiche sul numero di crimini registrati in una certa area, agli status sui social, dalle previsioni del tempo alle mappe del trasporto pubblico. Ogni smart city che voglia definirsi tale, si leggeva nel comunicato della Hitachi, dovrebbe munirsi di un sistema di sorveglianza altrettanto «smart», in grado non solo di ridurre i crimini ma anche limitare l’attività di profilazione della polizia sui sospettati. «Il Pca – aggiungeva il comunicato – fornirà agli utenti una migliore comprensione dei fattori di rischio che generano o mitigano il crimine».

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