Cultura

A Tokyo va in scena l’equilibrio della libertà tra madre e figlia

A Tokyo va in scena l’equilibrio della libertà tra madre e figlia

Scaffale Per Safarà il romanzo «Il dominio della luce» di Tsushima Yuko, uscito in Giappone nel 1979. Un anno nella vita di una donna che fatica a costruirsi un’esistenza nella metropoli

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

Può un appartamentino al terzo piano di un edificio in città essere il luminoso punto di partenza di una nuova vita? Il dominio della luce di Tsushima Yuko risponde a questa domanda e racconta un anno nella vita di una donna che fatica per costruirsi un’esistenza a Tokyo.

LA PROTAGONISTA di cui conosciamo solo il cognome da sposata, Fujino, ha una figlia di due anni e lavora in una nastroteca. Si è appena trasferita in quel palazzo, che come un presagio porta il suo nome, Fujino Building. Questo romanzo del 1979, appena recuperato da Safarà (pp. 192, euro 18) e tradotto da Maria Teresa Orsi, benché racconti un Giappone di quarant’anni fa, con scrittura lucida e a volte di una chiarezza brutale riverbera ancora oggi della crudezza che è fatalmente destinata a una donna che cerca di vivere ogni giorno senza sentirsi colpevole per aver deciso della propria indipendenza. Trovare un appartamento, scoprire una perdita d’acqua in terrazza, conciliare il lavoro con gli orari della figlia al nido, nelle mani di Tsushima tutto diventa la storia di una lunga lotta quotidiana.

QUANDO PUBBLICA Il dominio della luce a puntate sulla rivista Gunzo, anche Tsushima è una madre single che vive a Tokyo. Figlia dello scrittore Dazai Osamu e considerata una narratrice «dell’io» benché abbia contestato spesso questa etichetta, Tsushima descrive onestamente le difficoltà della sua voce narrante e protagonista, questa madre che beve, dorme fino a tardi, lascia le faccende in sospeso, si perde la figlia nel parco perché intenta a guardare le fronde degli olmi, e la schiaffeggia quando si sveglia piangendo di notte. «Avrei voluto dimenticarmi di lei. Sebbene non fossero passati neppure sei mesi da quando avevo cominciato a occuparmi da sola di mia figlia – o per meglio dire, anche se ormai avrei dovuto essermi abituata alla mia nuova vita – ogni giorno mi sentivo soffocare da una stanchezza che aumentava di continuo», dice Fujino.

Nelle sue notti sogna spesso, e nei sogni tira fuori immagini che mostrano quello di cui ha paura, o che, nel profondo, desidera, come la scomparsa della piccola. Il rapporto conflittuale tra la madre, che tenta di riposizionarsi nel mondo, e la figlia piccina che alterna scatti di rabbia a momenti di estenuante tenerezza, racconta la durezza di un lavoro di cura materno che oscilla tra gioia e sensi di colpa, nella solitudine che accompagna tutti i giorni. Come faranno anche scrittriciquali Rossella Milone o Jenny Offill, Tsushima, con l’intuito che la fa dialogare con la letteratura contemporanea sulla maternità, descrive il delicato equilibrio tra madre e figlia che non è dato per scontato ma è costruito ogni giorno, e ogni giorno si può distruggere.

L’ex marito è assente eppure evocato in continuazione, una presenza che soffoca la possibilità di una nuova esistenza indipendente. Pieno di debiti, non contribuisce al mantenimento della figlia, e quando riappare sulla scena porta con sé solo dolore e violenza. La narratrice, che ci rende partecipi del proprio conflitto, cerca di proteggere la bambina dal padre e anche da sé: «Perché i brutti sogni se ne vadano via. Perché gli incubi che fanno paura non si avvicinino a questa bambina».

IN TUTTO IL ROMANZO è la luce a guidare le decisioni della protagonista. L’appartamento in cui va a vivere viene scelto d’istinto perché la luce entra e riempie tutto lo spazio. L’acqua che si riversa in terrazza da una perdita della cisterna meraviglia le due inquiline, l’adulta e la bambina, con riflessi argentei sotto al sole. E poi i fuochi notturni, gli incendi nella città, come il senso di sconfitta e poi di rinascita dalle proprie ceneri. Forse ha ragione la old lady sconosciuta con cui Fujino beve whisky al bancone di un bar: «Buia è la notte, che venga presto il mattino».

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