Internazionale

«A Teheran non abbiamo diritti, basta farci affari»

L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino (Ap)L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino – Ap

Iran Da Oslo a Strasburgo: Premio Sacharov a Mahsa Amini, il Nobel per la pace a Narges Mohammadi. L'appello dell'attivista Rayhane Tabrizi al manifesto: «Finché mobilitazione ed espressione di solidarietà non si concretizzano in azioni politiche contro il regime iraniano»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 13 dicembre 2023

«Il sostegno internazionale è importante. Il fatto che si comprenda la situazione del popolo iraniano è un grande passo avanti. Eppure, finché mobilitazione ed espressione di solidarietà non si concretizzano in azioni politiche contro il regime di Teheran e a favore dei dissidenti – anche qui in Italia, in Europa – non è sufficiente. Partiamo dal blocco degli scambi economici con le grandi aziende, tutte in mano alle guardie rivoluzionarie, ovvero al regime di Teheran».

Rayhane Tabrizi è una donna iraniana, lavora e vive a Milano dal 2008 ed è parte del movimento Donna, Vita e Libertà. Arrivata in Italia inizialmente per ragioni di lavoro, Rayhane diventa attivista dopo l’uccisione di Mahsa Amini il 16 settembre 2022 e fonda l’associazione Manaà per il sostegno alle donne iraniane.

L’abbiamo raggiunta nel giorno in cui il parlamento europeo assegnato alla memoria di Amini e al movimento iraniano contro il regime il premio Sacharov 2023 per la libertà di pensiero.

A RICEVERLO dalle mani della presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, l’avvocato della famiglia Amini e la sorella di Mahsa, insieme all’attivista Mersedeh Shahinkar che ha perso un occhio colpita dai proiettili sparati dalla guardia rivoluzionaria.

Ai genitori della ragazza è stato impedito di raggiungere Strasburgo: i loro passaporti sono stati requisiti all’arrivo in aeroporto. Anche alla consegna del premio Nobel per la Pace a Oslo, domenica scorsa, l’attivista Narges Mohammadi non era presente: è detenuta nelle prigioni iraniane. Il premio è stato ritirato dai figli, esuli a Parigi.

Durante la conferenza stampa l’avvocato della famiglia Amini, Saleh Nikbakht, ha avvertito i presenti di dover calibrare bene le parole che avrebbe usato. «È un onore per noi sapere che la maggioranza dei cittadini dell’Ue sostiene il popolo iraniano – ha detto esprimendosi in lingua farsi – Ma considerate che sono da solo qui e devo tornare in Iran. Spero che comprendiate la situazione».

Nikbakht ha ricordato di essere stato lui stesso un giornalista: «Negli anni ’60 e ’70 ho lavorato per un giornale in Iran. Allora avevano libertà di parola, poi però non l’abbiamo più avuta». Tabrizi è ancora più netta: «Il Sacharov è un premio per quella libertà di pensiero e di parola che in Iran manca da un secolo, non solo dal ’79 (anno della rivoluzione islamica, ndr) in poi. Bisogna stare attenti non solo a cosa si dice, ma anche a cosa si pensa. E finché non si è liberi di pensare, non esiste nessuna libertà», ha aggiunti citando un passaggio di Azar Nafisi, autrice di Leggere Lolita a Teheran.

MAHsA AMINI non era un’attivista – non ne ha avuto il tempo – quando è stata uccisa a soli 22 anni dalla polizia morale di Teheran con l’accusa di indossare male il velo, ma è diventata il simbolo di tante ragazze e ragazzi privati di ogni diritto. «Se mi chiedi cosa è vietato in Iran, dovresti piuttosto domandarmi cosa è permesso. La risposta è: nulla», dice Tabrizi.

Ma Europa e Italia possono fare qualcosa di più per le donne e gli uomini iraniani? «Servono azioni concrete contro il regime, partendo dal blocco degli scambi economici con Teheran. Utili anche corridoi umanitari e sanitari per sostenere chi vuole lasciare il Paese e meno burocrazia per chi è già in Italia: non è possibile avere problemi ad aprire un conto in banca perché si è iraniani, perché non si distinguono i dissidenti da chi ha in mano le leve del potere a Teheran», conclude Tabrizi.

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