«La battaglia tra lavoratori a basso reddito e il capitale è iniziata». È il commento che un utente ha pubblicato sui social cinesi nelle prime ore dello sciopero che ha coinvolto oltre un centinaio di fattorini a Shanwei, nella provincia meridionale del Guangdong. Il 19 aprile scorso «un esercito arrabbiato di rider» ha protestato contro la rimozione di diversi bonus e la riduzione della paga di consegna da 5 (60 centesimi di euro) a 3,8 yuan. A rappresentanza del capitale, questa volta, vi è Meituan, colosso cinese che offre servizi di piattaforma che vanno dal bike-sharing alla prenotazione di hotel.
Negli anni il settore della consegna di cibo è diventato uno dei manifesti più evidenti della precarietà che caratterizza la gig economy, l’ “economia dei lavoretti”: chi è coinvolto in questo genere di occupazioni figura come “partner” delle piattaforme e non beneficia di una rete di sicurezza sociale. E spesso deve rispettare strategie di fidelizzazione, che smentiscono la retorica per cui gli impieghi flessibili permettano di lavorare dove e quando si vuole.

I RIDER DI SHANWEI sono solo gli ultimi della Repubblica popolare che da anni denunciano le condizioni dei lavoratori gig a basso reddito. A dimostrazione dell’esistenza di un certo grado di dibattito nell’ecosistema dei social media cinesi, i manifestanti hanno documentato lo sciopero di fine aprile in note piattaforme di video brevi come Kuaishou, generando interesse e indignazione. Dopo una settimana di proteste, Meituan ha ripristinato la paga originaria, ma ci sono stati anche risvolti meno felici.
La società avrebbe approvato un «meccanismo di upgrade» che lega il rating del lavoratore alla paga percepita: la valutazione del rider in app migliora in base alla quantità di ordini completati e ai feedback positivi ricevuti dai clienti. Al contrario, il punteggio si riduce in caso di mancato accesso all’app: i fattorini che hanno secondi lavori o, peggio, impegnati in azioni collettive, non potranno che veder calare il già magro compenso.

Ma la questione che ha più scandalizzato gli utenti di internet è la notizia che al secondo giorno di sciopero un enorme camion avrebbe trasportato a Shanwei decine di rider dalle città vicine, con la promessa di una paga tre volte maggiore. Gli spettatori del web li hanno accusati di «pugnalare alle spalle» i colleghi che si stavano battendo per interessi collettivi, come riportato dal media indipendente Ngocn: alcuni hanno suggerito ai manifestanti di fargliela pagare, di tagliare le gomme dei loro mezzi e di prendere a calci i pacchi con il cibo.
Il conflitto tra gig workers e piattaforma si è tramutato in una “lotta tra rider”. È così, hanno commentato gli scioperanti alla pagina Rider Zone, che il capitale tenta di dividere i lavoratori e fare in modo che il successo di un’azione collettiva non si propaghi altrove. Di fatto, nel settore si sciopera sempre meno: la mappa della ong China Labour Bulletin (Clb) riporta che dal 2018 al 2020 si è passati da 124 proteste a sole 22. Nel mentre il numero dei rider è aumentato (nel 2021 Meituan ne contava oltre 10 milioni) e le condizioni sono peggiorate per la crescente competizione. La riduzione degli scioperi, ha ammonito Clb, potrebbe anche mostrare una diffusione degli sforzi repressivi.

EPPURE, sembrava che Meituan avesse imparato la lezione. Quella del Partito, impegnato per anni a rettificare la condotta delle grandi società tech. Nel 2021 le agenzie governative avevano chiesto che le piattaforme accompagnassero un «uso moderato» dell’algoritmo a maggiori tutele per i lavoratori. La società aveva risposto con prontezza: si era distinta per essere la prima del settore a rendere pubblici i parametri su cui si basa il funzionamento del “supercervello”, il potente algoritmo che da solo gestisce ordini e fattorini, e aveva introdotto tempi di consegna più realistici e controlli maggiori per lo status contrattuale dei lavoratori.
Che sia stata tutta una farsa? Secondo l’articolo di Rider Zone Meituan «ha indossato una maschera» e ha ingannato clienti e opinione pubblica. Nella realtà, il capitale resta il capitale, e le piattaforme continuano a «opprimere» e «spremere» la forza lavoro.