A Roma sulle strade del silenzio
Roma è stata una strana giornata, che ha mischiato elementi formalmente contraddittori ma che, paradossalmente, hanno interagito armonicamente, credo in maniera inconsapevole. Per la prima volta nella città in cui […]
Roma è stata una strana giornata, che ha mischiato elementi formalmente contraddittori ma che, paradossalmente, hanno interagito armonicamente, credo in maniera inconsapevole. Per la prima volta nella città in cui […]
Roma è stata una strana giornata, che ha mischiato elementi formalmente contraddittori ma che, paradossalmente, hanno interagito armonicamente, credo in maniera inconsapevole. Per la prima volta nella città in cui vivo si è realizzato un esperimento inconsueto, e potenzialmente foriero di una piccola guerra civile conoscendo i miei concittadini: il comune ha deciso di riservare un insieme di 14 strade, che formavano un circuito di circa 23 km, a bici e pedoni. Grossomodo metà carreggiata era inibita alla circolazione motorizzata. Gli incroci erano quasi tutti, miracolo!, presidiati dai vigili. Il titolo dell’iniziativa era Via Libera, rovesciando il concetto di «chiusura al traffico» classicamente accoppiato alle restrizioni ai veicoli motorizzati.
E qui finisce la descrizione oggettiva dell’iniziativa durata dalle 10 alle 19, senza alcun tipo di rissa che mi ero aspettato, e che temevo. Questo perché appunto hanno congiurato, ripeto, le circostanze di questo 10 giugno. Anzitutto la corposa assenza, in città, di traffico motorizzato fin dal giorno prima. Sia il bel tempo sia il tradizionale gioioso caos del Gay Pride probabilmente hanno convinto molti romani a passare il fine settimana fuori porta. Poi, il fatto che l’altrettanto tradizionale ostracismo della grande stampa alle iniziative potenzialmente positive dell’attuale giunta romana non ha fatto filtrare una parola sulla giornata. Questo aspetto mi preoccupava abbastanza temendo colpi di testa di qualche coattello in macchina o motorino, vasta genia di cui questa città non sa fare a meno. Insomma non ne sapeva niente nessuno, tranne i diretti interessati (ciclisti urbani).
Non lo sapevano bene neanche i vigili. Le pattuglie con cui mi sono fermato a chiacchierare, cercando di capire come la pensassero, mi hanno dato tutte informazioni contrastanti. Alcuni erano convinti che si trattasse della pedonalizzazione solo dell’area a loro assegnata; altri non sapevano che si trattasse di un circuito e mi dicevano che potevo andare «da qui a lì» in linea retta; altri parlavano di manifestazione sportiva.
Che si potesse trattare di una qualche maratona è risuonato anche nelle discussioni che ho intercettato qui e lì in strada; un mio amico che tornava da un viaggio si è sentito dire dal tassista che non poteva portarlo a casa appunto «perché c’è una maratona».
Il primo vasto esperimento di ciclo pedonalizzazione mai fatto a Roma è stato dunque male interpretato, e a questo punto sono sicuro che sia stato un bene.
Se fosse passata, come è normale che fosse, l’informazione che si trattava di dare spazio a pedoni e biciclette la voce pubblica si sarebbe ingrossata come un maremoto, elevando l’astio per chi osa contrastare la sacralità di moto e automobili a livelli stellari. Ho un solo esempio di «avete rotto er ca…», deliberato da un giovanotto barbuto in sella a una Harley, con dietro l’inevitabile passeggera. Almeno lui era informato; oppure ha collegato la stranezza domenicale alla presenza di noi maledetti ciclisti.
Ma il risultato finale è stato grandioso: strade non banali (via Cola di Rienzo, Policlinico, Regina Margherita, XX Settembre, Manzoni, Labicana: tutte vie enormi) erano perfette, scintillanti, stupende. E silenziose come mai ho sentito in oltre mezzo secolo di vita qui.
Libere davvero, senza muraglie di lamiera e quel nervosismo latente che un’inutile e irrisolvibile fretta induce ogni giorno. Gente felice in strada.
L’esperimento verrà ripetuto: a questo punto suggerisco di spacciarlo per «maratona» e amen. Secondo me funziona da sedativo per chi ha la bava alla mente.
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