A Reggio Calabria 50 anni dopo quella manifestazione mai vista
Sindacati Il movimento dei lavoratori, i partiti di sinistra, centinaia di amministratori provenienti da tutta Italia si ritrovarono quindi a Reggio Calabria non solo per testimoniare l’esistenza di un vento del Nord che ancora soffiava impetuoso nelle fabbriche e nei cantieri della Lombardia come del Piemonte, dell’Emilia e del Lazio (“Nord e Sud uniti nella lotta”), ma per proporre attraverso un piano di interventi straordinari e di riforme.
Sindacati Il movimento dei lavoratori, i partiti di sinistra, centinaia di amministratori provenienti da tutta Italia si ritrovarono quindi a Reggio Calabria non solo per testimoniare l’esistenza di un vento del Nord che ancora soffiava impetuoso nelle fabbriche e nei cantieri della Lombardia come del Piemonte, dell’Emilia e del Lazio (“Nord e Sud uniti nella lotta”), ma per proporre attraverso un piano di interventi straordinari e di riforme.
22 Ottobre 1972 – 22 Ottobre 2022. A 50 anni dai “treni per Reggio Calabria”, da quando nella notte del 21 ottobre 1972 “venti treni più forti del tritolo” viaggiavano verso Reggio Calabria, per la più grande manifestazione sindacale mai vista.
“Al Sud e per il Sud” come ricorderà poi Trentin nei suoi diari. A volerla fortemente era stato Claudio Truffi, leader degli edili della Cgil che, insieme alla Flm di Trentin, Benvenuto e Carniti e alla Federbraccianti di Rossitto, convinsero le tre Confederazioni ad organizzare una conferenza nazionale sul rilancio del Mezzogiorno (il titolo dell’assise, raccontata sull’Unità del 21 ottobre 72 da Alessandro Cardulli, era “il Sud nodo centrale della lotta per un nuovo sviluppo del Paese”) e quindi un grande corteo che – scrisse lo stesso Truffi – riaffermi “la volontà di tutti i democratici e antifascisti di emancipare le masse meridionali attraverso la creazione di lavoro produttivo, contro l’assistenzialismo e la rendita fondiaria”.
Era una manifestazione che rispondeva – attraverso “la centralità di politiche nazionali finalizzate alla creazione di nuove industrie, infrastrutture, nuove forme di agricoltura cooperativa – alla più generale strategia della destra di fermare l’avanzata del movimento operaio” come ricorderà Pietro Ingrao ripensando ai lavori della Conferenza. Erano gli anni della grande modernizzazione del Paese, dell’avanzata del movimento dei lavoratori e dei consigli che, dopo il biennio rosso 68-69, raggiungevano importanti conquiste contrattuali e legislative (lo Statuto dei Lavoratori è di due anni prima, 1970, ma anche le prime leggi organiche sul diritto alla casa).
Erano gli anni dell’avvio della strategia della tensione, delle bombe fasciste e, al sud in particolare e a Reggio ancor più nello specifico (i famosi “moti di Reggio” guidati da Ciccio Franco e dai suoi “boia chi molla”, di forme di protesta reazionarie, volte a convogliare “il malessere sociale, la frustrazione delle masse popolari e della piccola borghesia in aperto contrasto allo Stato Repubblicano” (Carniti).
Il movimento dei lavoratori, i partiti di sinistra, centinaia di amministratori provenienti da tutta Italia si ritrovarono quindi a Reggio Calabria non solo per testimoniare l’esistenza di un vento del Nord che ancora soffiava impetuoso nelle fabbriche e nei cantieri della Lombardia come del Piemonte, dell’Emilia e del Lazio (“Nord e Sud uniti nella lotta”), ma per proporre attraverso un piano di interventi straordinari e di riforme (a partire dall’incompiuta riforma agraria e del sistema scolastico e professionale fino alla costruzione di una diffusa rete idrica e di invasi), il lavoro, la sua qualità, la sua dimensione collettiva come il mezzo per rispondere a quelle disuguaglianze e a quelle paure che stavano alimentando “il mare in cui una destra apertamente neo fascista nuotava e faceva proseliti”.
E oggi pur con tutte le differenze del caso (le condizioni di sviluppo, il modello produttivo e di consumo, il ruolo del pubblico in economia, i grandi partiti di massa che non ci sono più, Pci, Psi, ma anche Dc) si ripropone, con soggetti e contesti diversi certo, un nodo molto simile: quello del disagio, della paura, della solitudine che alimentano forme di passività (si pensi all’altissimo astensionismo), oggettivamente funzionali all’attuale modello di sviluppo e di depredazione del territorio e della natura e che possono (ed hanno trovato) nella destra protezionista, nazionalista, autoritaria una corrispondenza.
Il lavoro, la sua qualità, la sua funzione sociale ancor prima che “economica” si ripropone come il terreno principale per ricomporre invece “un senso diverso”. Di consumo collettivo e non individuale, con un più forte e moderno welfare pubblico. Un senso di crescita del nostro Mezzogiorno come miglioramento per la comunità in cui si vive ma anche dell’intero Paese. Un senso di “libertà” dai bisogni che riscatti decenni di squilibri, deperimenti, saccheggi del nostro Mezzogiorno. Un senso di azione collettiva, che ridà senso tanto all’impegno sindacale quanto e soprattutto politico, ricercando in queste traiettorie il valore stesso della parola “sinistra”, dell’antifascismo come sviluppo pieno e programmatico dei dettami costituzionali.
Almeno così ritengo possa essere letto e riletto questo importante anniversario che come Fillea Cgil, insieme alle compagne e compagni della Fiom e della Flai, dello Spi (i settantenni di oggi sono i ventenni dei treni cantati dalla Marini) e ovviamente insieme e per merito della Cgil calabrese e di Reggio, ricorderemo tutti insieme oggi, al convegno “50 anni di lotte per il lavoro. Cosa è cambiato dalla manifestazione nazionale unitaria del 22 ottobre del 1972?”. Un titolo impegnativo che sicuramente va oltre le capacità di chi scrive, ma che mi consegna almeno una certezza: non è cambiato il diritto/dovere per ognuno di noi di lottare per un mondo migliore, contro ogni forma di fascismo e di autoritarismo, vecchio e nuovo che sia.
* Segretario Generale della FILLEA CGIL
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento