L’opposizione ungherese dei partiti di centro, liberali e di centro-sinistra non accetta l’interpretazione data dal governo di Viktor Orbán al risultato della consultazione nazionale sulle sanzioni anti-russe. La consultazione è durata un mese e avrebbe mostrato che il 97% dell’opinione pubblica ungherese respinge le medesime.

L’opposizione tiene a sottolineare il fatto che solo 1,36 milioni di cittadini hanno rimandato il questionario che avevano ricevuto per posta, quindi il 17% dell’elettorato. Secondo Ákos Hadházy, deputato indipendente, “neanche la metà degli elettori del partito governativo Fidesz ha risposto a quesiti tendenziosi”. 

Le critiche dell’opposizione fanno il paio con quelle degli osservatori dell’Ue che hanno giudicato fuorviante il questionario, in quanto il medesimo definiva i provvedimenti in questione “sanzioni imposte dai leader di Bruxelles”. Tornando all’opposizione ungherese, essa fa notare che la stragrande maggioranza degli 8,2 milioni di elettori era partita dal presupposto di non voler rispondere a domande che suggerivano la risposta. Un esempio: “I dirigenti di Bruxelles vogliono sanzionare le forniture mentre l’economia europea e particolarmente l’Ungheria, dipendono dal gas russo. Un divieto comprometterebbe il riscaldamento delle case. Lei è d’accordo con la sanzione sul gas?”. 

Cosicché Hadházy sostiene che la consultazione nazionale non è stata altro che un sondaggio pilotato per far crescere il consenso alla politica anti-Ue di Orbán ma che non ha prodotto un risultato convincente checché ne dica il governo. 

La guerra in Ucraina è senz’altro un elemento di divisione profonda – non unico, peraltro – tra l’esecutivo e l’opposizione; di recente il sindaco di Budapest Gergely Karácsony si è recato a Kiev insieme ai primi cittadini di Bratislava, Praga e Varsavia. La missione è stata concepita dai quattro per esprimere la solidarietà delle loro città all’Ucraina. “Budapest sta con l’Ucraina” ha detto Karácsony precisando che non bisogna identificare il governo del Fidesz con l’intera Ungheria e che milioni di suoi connazionali respingono la politica di sostegno intrapresa da Orbán nei confronti di Putin. 

Come già da noi scritto più volte, quello della guerra in Ucraina è stato un tema centrale della campagna svoltasi l’anno scorso in Ungheria per le elezioni politiche vinte da Orbán per la quarta volta consecutiva. In quella circostanza l’attuale premier di Budapest si era presentato come unico leader politico nazionale impegnato a tenere lontano il suo paese dalla guerra e a lavorare per la pace. Argomenti sui quali il primo ministro è tornato alla fine di dicembre in occasione della conferenza stampa annuale affermando che “l’obiettivo dell’Ungheria è di rimanere fuori anche in futuro dalla guerra in Ucraina che non è la nostra guerra”. A suo avviso, per raggiungere la pace, ci vorrebbero un coprifuoco immediato e dei negoziati di pace tra russi e americani.

Nel suo intervento, Orbán aveva criticato la posizione della Polonia, “paese tradizionalmente amico” ha specificato. Tradizionalmente amico, questo sì, ma chiaramente non schierato con Budapest in questo caso. Insomma, nel frangente del conflitto in questione l’”uomo forte d’Ungheria” porta avanti una politica che lo allontana anche dai suoi più tradizionali alleati, e riferendosi a Mosca sostiene da tempo che ormai le posizioni antirusse sono di moda, una moda incoraggiata a suo modo di vedere dalle élite liberali che se la intendono con la tecnocrazia di Bruxelles. Chi scrive è persuaso che dalle nostre parti non sia stata incoraggiata una riflessione critica su questa guerra, non un’analisi capace di tenere conto delle diverse responsabilità e dei diversi interessi di parte in termini di scacchiere internazionale. Non si tratta di voler confondere i piani o di fare propaganda al contrario come Orbán, ma di provare a stimolare una riflessione che parta dalla consapevolezza che ci troviamo di fronte a un conflitto di vecchia data che in fondo nessuno ha voluto affrontare e risolvere con mezzi diplomatici con un autentico intento di pace.