Manca ancora un quarto d’ora alle 15, orario in cui la comunità palestinese di Milano ha annunciato la conferenza stampa per spiegare le ragioni per cui ha deciso di rinviare a oggi la manifestazione indetta in solidarietà alla popolazione di Gaza prevista per sabato, e già l’angolo tra piazzale Loreto e via Padova è pieno di persone. Segno che non ci sarà solo una “semplice” conferenza stampa, ma qualcosa di più. E non solo perché i giovani palestinesi avevano già annunciato la loro intenzione di sfilare ugualmente, in barba a qualsiasi divieto.

POLIZIOTTI e carabinieri, schierati in forze massicce, ripetono ai presenti di restare sui marciapiedi, ma è un invito che loro stessi capiscono essere inutile, fosse solo per il numero di manifestanti che minuto dopo minuto aumenta sempre più. Qualche decina di metri più in là, un paio di rappresentanti della comunità palestinese prepara il microfono, e inizia a parlare. «Non possiamo dimenticare nessuna sofferenza subita da qualsiasi popolo nel corso della storia», è l’esordio. Giusto per chiarire che non c’era nessuna intenzione di contrapporsi al Giorno della memoria, o sminuire quello che il popolo ebraico ha subito. Ma, sottolineano, «non possiamo restare in silenzio di fronte a quello che oggi il popolo palestinese sta subendo». «Un genocidio», dicono. Ecco perché scenderanno in piazza ancora, come stanno facendo ogni sabato, dal 7 di ottobre. A partire da oggi, domenica, accettando, loro malgrado («con amarezza», dice al microfono il rappresentante della comunità palestinese), il rinvio chiesto (meglio, imposto) dal ministero dell’Interno, all’ultimo momento.

SUBITO DOPO parla Samed Ismail, esponente dei giovani palestinesi, che invece ribadisce la loro posizione, ossia di mantenere la manifestazione del sabato. «Quello che arriva dal governo è un attacco politico, vergognoso», dice. Che non accettano: «Siamo qui contro i divieti, contro i genocidi e per la Palestina», scandisce prima di lasciare il microfono e girare l’angolo che porta in via Padova, dove ormai oltre duemila persone hanno occupato l’intera strada con striscioni e cartelli. In prima fila, davanti alle camionette delle forze dell’ordine schierate a bloccare ogni possibile movimento, ci sono loro, i giovani palestinesi. «Free, free Palestine», urlano. Poco dietro, tutti gli altri. Il mondo antagonista milanese che ha voluto esserci, nonostante i divieti. Kefiah al collo, cartelli in solidarietà al popolo palestinese ogni dove. Qualcuno distribuisce volantini, altri attaccano adesivi con la bandiera palestinese sui pali della luce. A chiudere, uno striscione a firma Rifondazione Comunista dice che «manifestare contro Israele non è reato».

Si resta così, gli uni di fronte agli altri, per quasi due ore. Qualcuno parlotta con gli agenti, sembra che ci sia la possibilità di improvvisare un corteo, almeno per qualche decina di metri, ma non è così. Poco prima delle 17, un gruppo di manifestanti prova a sfondare il blocco della polizia, che risponde con una carica di alleggerimento. A quel punto è chiaro a tutti che l’ordine arrivato dall’alto è tassativo: tenere la linea dura, non cedere di un millimetro, a nessun costo. Nemmeno di fronte a una manifestazione pacifica, senza provocazioni, come del resto in tutti i sabati precedenti da ottobre a oggi. Ieri forse ancor di più: nessun fumogeno, nessun petardo, nessuno slogan violento. Quasi a sottolineare come i paventati motivi di ordine pubblico addotti dal ministero fossero solo scuse. Ma tant’è, di fronte c’è un governo che della linea dura si fa vanto. Poco dopo le 18, la manifestazione si scioglie. In fondo alla via, all’angolo con piazzale Loreto, ci sono ancora i poliziotti a bloccare la strada. Si esce singolarmente, uno a uno. Qualcuno si saluta dandosi appuntamento a oggi. Ore 15, piazzale Loreto. Per la Palestina.