«Negli anni ’80 Masafer Yatta è stata divisa in due parti, una è stata dichiarata area di addestramento militare, l’altra terra per la costruzione di insediamenti coloniali israeliani». Parla con tono pacato Sami Huraini mentre riassume la storia tormentata del suo villaggio, A-Tuwane, e della regione collinosa di Masafer Yatta, a sud di Hebron. Alle sue spalle non lontana c’è la colonia di Havat Maon. Intorno a lui una trentina di italiani da alcuni giorni in Cisgiordania per un viaggio di conoscenza organizzato da Assopace Palestina. «Il poligono di tiro parte da quel punto lì, appena dopo l’ultima casa di A-Tuwane. Tutti i palestinesi che sono all’interno dell’area di addestramento militare rischiano seriamente di essere cacciati via, eppure sono nella loro terra», indica con un gesto della mano Sami, tenendo allo stesso tempo d’occhio il nipotino sceso più in basso a giocare con i fiori di campo.

L’attivista fa parte di una famiglia palestinese nota, anche all’estero, per il suo impegno decennale a difesa dei diritti della gente di A-Tuwane e Masafer Yatta. Hafez Huraini, il padre di Sami, lo scorso settembre fu arrestato per qualche giorno dall’esercito israeliano.  Mentre coltivava la sua terra, raccontò ai militari, un gruppo di coloni armati di spranghe entrarono nella sua proprietà. Di fronte alle sue proteste lo picchiarono fratturandogli un braccio e di una mano. L’esercito però arrestò lui. Aggressioni simili non sono rare, denunciano gli abitanti di A-Tuwane. «Sono violenti anche con i nostri bambini», aggiunge Sami. «Pensate – dice – i nostri figli a scuola devono andarci con la scorta. Proprio i giudici israeliani hanno ordinato all’esercito di farli seguire da una jeep dell’esercito per tenere a distanza i coloni». È una situazione che si trascina da anni. A protezione degli scolari ci sono anche gruppi di volontari internazionali, come quelli di Associazione Colomba.

«La creazione di aree destinate ai militari – continua Sami Huraini – è uno dei pretesti usati da Israele per costringere i palestinesi ad abbandonare le terre su cui poi vengono costruiti nuovi insediamenti. Interrompendo la continuità territoriale e tagliando le vie di comunicazione tra i villaggi palestinesi si assicurano il pieno controllo della zona e preparano l’espansione delle colonie». Gli italiani ascoltano con attenzione il suo racconto, qualcuno fa domande, chiede maggiori chiarimenti. L’attivista è pronto a ripetere quanto ha spiegato, consapevole che per coloro che arrivano qui per la prima volta è arduo districarsi tra linee immaginarie tracciate dai militari, così concrete per la vita dei civili, e distinguere le aree A, B e C con cui, quasi trent’anni fa, con la firma degli Accordi di Oslo tra Israele e l’Olp di Yasser Arafat, fu suddivisa la Cisgiordania. Accordi temporanei, dal 4 maggio 1994 al 4 maggio del 1999, cinque anni necessari per costruire le fondamenta di uno Stato palestinese indipendente nei Territori occupati. Una possibilità svanita forse per sempre. E gli Accordi restano in vigore normalizzando l’occupazione.

L’autobus si mette in marcia. A velocità ridotta e percorrendo strade strette, poco asfaltate, s’inerpica per le colline che da A-Tuwane portano a Mufaghara nella Firing Zone 918 proclamata unilateralmente dalle forze armate israeliane. Il benvenuto agli italiani è caloroso. Tè e acqua, bene preziosissimo per questo villaggio, vengono subito offerti agli ospiti stranieri. Diciassette famiglie, 150 persone, alcune delle quali vivono in tende, altre in grotte. Mufagara è uno dei 12 villaggi a rischio di Masafer Yatta. Esiste da generazioni, ma ai suoi residenti non sono concessi permessi di costruzione dalle autorità israeliane. Chi prova a costruire senza autorizzazione sa che dopo qualche giorno la sua abitazione sarà demolita. Di recente è stata ridotta in un cumulo una scuola costruita anche con aiuto italiano. Nel 2021 Mufaghara fu teatro di un raid di coloni israeliani che protestavano contro i pastori. Un bambino palestinese di quattro anni, Muhammad Hamamdah, colpito da una pietra alla testa, fu portato all’ospedale di Beersheva in condizioni gravi.

«Il pericolo più immediato è espulsione di oltre mille persone, tra cui tanti bambini, che vivono in questa dozzina di piccoli villaggi palestinesi» avverte Luisa Morgantini, già vicepresidente dell’Europarlamento, fondatrice di Assopace e a capo della delegazione. «L’occupazione israeliana – spiega al gruppo – è infinita e illegale ma l’Europa resta a guardare limitandosi a parlare di valori e diritti che qui non intende aiutare a realizzare».

A Mufaghara e gli altri villaggi da un anno si vive nell’ansia. Dopo una battaglia durata più di 20 anni, la Corte suprema israeliana – il «baluardo della democrazia» che da mesi israeliani difendono contro gli attacchi del governo Netanyahu – nel 2022 ha dato il via libera allo sgombero definitivo di circa 1300 palestinesi da Masafer Yatta in modo da riutilizzare la terra a scopo militare. I giudici non hanno tenuto conto dei documenti storici presentati dagli avvocati delle otto comunità palestinesi più minacciate, tra i quali filmati aerei che dimostrano l’esistenza dei villaggi prima del 1981. «Questa è la nostra terra, dove viviamo da sempre, non intendiamo lasciarla» ci dice Said Hamamdah, un abitante di Mufaghara. Per i giudici israeliani invece Hamamdah risiede illegalmente in un’area che l’esercito ha destinato a poligono di tiro, quindi va sgomberata. Solo dai palestinesi però. Ieri la giornalista Amira Hass scriveva Israele sta permettendo a sei allevamenti di pecore gestiti da coloni a Masafer Yatta, di restare al loro posto.