A lezione di calcio e politica
Il commento L'editoriale di Sócrates sull'assegnazione dei mondiali 2014 al Brasile, uscito sulla "Folha de São Paulo" nel 2007
Il commento L'editoriale di Sócrates sull'assegnazione dei mondiali 2014 al Brasile, uscito sulla "Folha de São Paulo" nel 2007
Non ci siano dubbi, caro lettore, sulla nostra felicità per la scelta del nostro Paese come sede di questa grande manifestazione calcistica nel 2014.
Questa felicità, però, non ci può annebbiare la vista davanti all’abisso che ci separa dalle condizioni necessarie per aver meritato questa designazione. Il calcio è un fenomeno sociale, parte integrante della cultura del Paese, un elemento innegabile di identità nazionale, estremamente simbolico in quanto tale.
Il calcio brasiliano (dentro e fuori dal campo) dice molto su chi siamo, i nostri valori, le dinamiche sociali e le relazioni di potere. È una lezione pratica di cosa sia il Brasile. Il Mondiale, pertanto, non deve essere analizzato se non in quest’ottica.
La mancanza di condizioni è stata evidente sin dai primi passi per la candidatura del paese e, a partire da oggi, sarà evidente per quanto riguarda l’organizzazione di questo mega evento.
Dando uno sguardo ai vertici che minacciano di mettersi a capo di questo processo, è possibile anticipare il futuro: l’appropriazione dei beni comuni, la personificazione maliziosa di estese iniziative sociali, la preponderanza di interessi indegni e illegittimi a proprio vantaggio o del proprio gruppo ristretto di persone e la difesa del piccolo potere eterno che caratterizza queste pratiche nel mondo del calcio (e nel paese).
Il comitato organizzatore del Mondiale 2014 annunciato pochi giorni fa ne è il miglior ritratto: una sola persona che può tutto, che non deve dare conto o soddisfazione a nessuno. Torniamo al feudalesimo! Ma non dobbiamo preoccuparci, qualsiasi evento sportivo accade da solo. Basta una palla che rotoli e tutte le attenzioni si dirigeranno verso il campo e tutte queste “premure” svaniranno e saranno dimenticate, grazie alla valanga di informazioni controllate, specialmente quelle veicolate dall’impero mediatico, onnipresente e onnipotente nel mondo nel calcio, svolgendo un ruolo fondamentale nel ritardo delle istituzioni sportive. È sempre stato così in Brasile, no?
Quello che ignorano volutamente, e che vogliono farci ignorare, è il potenziale di agitatore delle masse e trasformatore sociale di questo fenomeno giocato coi piedi.
Questa è la natura legittima del calcio; se dovesse emergere non troverebbe limiti alla trasformazione di realtà, all’integrazione di culture e persone, alla formazione di cittadini e conoscenze e, infine, servirebbe da vettore di sviluppo e uguaglianza.
Questo è un punto di vista che ci manca, lo spirito che darebbe un senso a una Coppa del Mondo disputata in Brasile. Un Mondiale con questi valori in gioco, con benefici per tutti (benefici reali, non solo la fugacità della felicità di assistere ad alcune partite) ci renderebbe meritevoli di ospitare tale evento, con molto orgoglio.
Nemmeno per quanto riguarda le migliorie alle infrastrutture, conseguenza di un evento di questa portata, si può parlare delle condizioni necessarie. È già successo con il Campionato Panamericano: nonostante le innumerevoli promesse di incredibili lasciti e fantastiche migliorie, finita la competizione resta davvero poco destinato a migliorare la vita quotidiana dei cittadini. Quello che si è visto è stata una quantità immensa di investimenti pubblici per nulla trasparenti, usati in larga parte per abbellire opere sociali provvisorie, dunque inefficienti, per migliorie urbanistiche non urgenti e per costruire parchi sportivi che servono a quelli di cui abbiamo parlato prima, sia che si parli di concessioni per il loro utilizzo in forma privata a prezzi ridicoli, o proprio per un effimero teatrino sportivo che serve a sostenere questo piccolo potere.
In questo scenario crudele, la cosa peggiore è capire che l’unico che meriterebbe di vivere una Coppa del Mondo grazie alla sua passione delirante per il calcio, all’intensità con cui questo sport fa parte della sua cultura e identità, è proprio chi, anche a causa di tutto ciò di cui abbiamo parlato, non è stimolato alla discussione sulla manipolazione della propria passione, né a comprendere questa realtà. Ovvero, il tifoso brasiliano.
Alla luce di questi aspetti e di una visione più profonda e complessa, che inserisca il Mondiale e il proprio gioco del calcio in un contesto sociale e politico, evitando il punto di vista e il potere di chi è contrario e, infine, andando oltre alla semplice festa e al semplice gioco, non vediamo le condizioni perché il Brasile riesca ad ospitare un evento di tale portata e simbolismo.
Allo stesso tempo, ci sembra improbabile che possa portare delle trasformazioni nella realtà sociale del nostro Paese, che è quello che a noi (che sogniamo un Brasile più giusto e umano) interessa.
traduzione di Virginia Gaspardo
(Il 14/11/2007 Sócrates commentava così l’assegnazione dei Mondiali 2014 al Brasile, nella sua rubrica settimanale sulla Folha de São Paulo)
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