Il cratere lasciato a Jabaliya dal bombardamento israeliano foto Ap
Internazionale

A Jabaliya «l’ora più buia». Sei bombe, decine di uccisi

Il cratere lasciato a Jabaliya dal bombardamento israeliano – Ap /Fadi Wael Alwhidi

Colpirne cento Israele dà la conferma: abbiamo colpito un leader di Hamas. E avanza via terra, da nord e da est, per spezzare Gaza in due. Tel Aviv preme sull’Egitto perché prenda i profughi palestinesi. L'Onu: «Il diritto non è un menu à la carte»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 1 novembre 2023

È stato come un terremoto. Le descrivevano così ieri i residenti del campo profughi di Jabaliya le sei bombe sganciate dall’aviazione israeliana. Il terremoto ha lasciato quel che lasciano i terremoti: macerie.

UNA QUANTITÀ enorme di macerie perché a essere colpito è uno dei luoghi più densamente popolati del nord della Striscia di Gaza, «incastrato» tra Beit Lahiya e Beit Hanoun: le bombe hanno lasciato un cratere che ha inghiottito le case. I palazzi sono grigi, la polvere è grigia e anche le macerie. Il colore lo danno materassi, coperte, vestiti che spuntano dal cemento aggrovigliato.

A centinaia, civili e paramedici, scavano con le mani nella polvere che ancora si alza dal cratere, provano a rimuovere pezzi di cemento e ferro. Un’ora dopo riescono a recuperare 47 corpi senza vita. Con le ore il numero dei palestinesi uccisi aumenterà: a sera si parla di un centinaio. Tra loro molti bambini, molte donne, in 25 giorni di operazione militare israeliana il 70% delle vittime.

«Se ci fosse una parola per descrivere qualcosa più grande di un massacro, sarebbe questo – racconta il corrispondente di Middle East Eye – Non si distinguono più le case, le persone sono seppellite sotto le loro stesse case».

Un uomo urla sopra un cumulo di macerie, «ho perso tre figli, li ho persi tutti». Lo abbracciano, provano a calmarlo, lui continua a urlare. I feriti, centinaia, vengono portati nel vicino Indonesian Hospital, qualcuno con le barelle disponibili, tanti in braccio, altri in bicicletta.

Il mondo firma il certificato di morte di queste personeAhmad al-Kahlout

NELL’OSPEDALE è il caos, lo ridanno indietro le immagini di al-Jazeera: un numero indefinibile di feriti, molti soccorsi sul pavimento perché non ci sono più letti, trattati senza anestesia perché gli anestetici semplicemente non ci sono più. I medici sono sfiniti da turni lunghi giorni interi, dall’impossibilità di salvare tutti, da un peso psicologico enorme che per molti di loro è stato reso insopportabile dalla morte dei propri familiari.

«I letti non sono abbastanza, non possiamo garantire cure a tutti – dice ad al-Jazeera Ahmad al-Kahlout, direttore della protezione civile – Senza carburante le operazioni si fermeranno. Il mondo sta firmando il certificato di morte di queste persone».

QUELLO che ha colpito il campo di Jabaliya è stato uno dei peggiori bombardamenti israeliani dal 7 ottobre. I sedici edifici completamente distrutti erano casa a centinaia di persone: «l’ora più buia», la chiama il medico norvegese Mads Gilbert, «mai visto un massacro del genere».

Il bombardamento al campo di Jabaliya foto Getty Images
Il bombardamento al campo di Jabaliya foto Getty Images

Nelle stesse ore venivano colpiti anche i campi di al-Shati e al-Nuseirat, altre decine di uccisi. In serata l’esercito israeliano ha confermato il raid su Jabaliya, definendolo diretto a eliminare il comandante del battaglione di Hamas, Ibrahim Biari, che sarebbe morto. Il portavoce militare ha aggiunto che l’uccisione di civili è «la tragedia della guerra, lo diciamo da giorni di muoversi verso sud». Hamas smentisce: nel campo non erano presenti suoi leader.

In 25 giorni i numeri sono impressionanti, oltre 8.600 palestinesi uccisi, di cui circa 2mila mai recuperati tra le macerie. Tra i morti ci sono oltre 3.500 bambini, un migliaio mai ritrovati. Sono 150 bambini al giorno: a Gaza, hanno calcolato domenica diverse organizzazioni per i diritti umani, sono stati uccisi più bambini di quanti ne abbiano uccisi ogni anno tutti i conflitti armati nel mondo dal 2019 a oggi.

«Il diritto umanitario internazionale stabilisce regole chiare che non possono essere ignorate. Non è un menu à la carte e non può essere applicato selettivamente»Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres

L’UNICEF ieri ha parlato di Gaza come di «un cimitero per bambini», «un inferno sulla terra». Di fronte al Consiglio di Sicurezza l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha sferzato la comunità internazionale, paragonando il massacro di Gaza a quello del Darfour e individuando in una pace giusta l’unica soluzione al conflitto. Parole a cui sono seguite quelle del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «Il diritto umanitario internazionale stabilisce regole chiare che non possono essere ignorate. Non è un menu à la carte e non può essere applicato selettivamente».

MA L’OPERAZIONE israeliana non si interromperà a breve. Lo ha ribadito lunedì sera il primo ministro Netanyahu e lo ribadiscono il numero di bombardamenti compiuti negli ultimi giorni, trecento solo lunedì, ma soprattutto i movimenti di terra. L’invasione è realtà: a nord, a est e a sud.

È la tragedia della guerra, gli avevamo detto di spostarsi verso sudDaniel Hagari

Le immagini satellitari pubblicate ieri dal New York Times confermano le notizie che giungono da Gaza: l’esercito israeliano sta tentando di «spezzare» la Striscia in due, di separare il nord e il sud all’altezza di Salah-a-Din Street a Gaza City.

I carri armati spingono lungo due direttrici, da nord su al-Rasheed Street e da est sulla Salah-a-Din. Pesanti scontri con le Brigate al-Qassam, ala militare di Hamas, si sono registrati ancora ieri, non confermati dal governo israeliano che ha imposto il silenzio sulle manovre di terra. Hamas risponde con dei video, apparentemente girati a Beit Hanoun: i miliziani sparano con armi automatiche e missili anticarro alle forze di terra israeliane.

Palestinesi cercano sopravvissuti tra le macerie dopo un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza City foto Ap
Palestinesi cercano sopravvissuti tra le macerie dopo un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza City foto di Fadi Wael Alwhid /Ap

Martedì mattina il portavoce militare Daniel Hagari ha confermato la spinta verso Gaza City e affermato che gli attacchi via terra hanno preso di mira tunnel e postazioni di lancio di missili. In ogni caso, al momento, i confronti a fuoco sembrano limitarsi alle zone non urbane. Se e quando raggiungeranno le città, il massacro di civili non farà che peggiorare. È in questo quadro che si inserisce la questione, centrale, dei rifugiati. I piani apparenti dell’operazione via terra e quelli a cui ha dato voce il documento del ministero dell’intelligence israeliano prevedono la spinta della popolazione palestinese del nord di Gaza verso il sud. E poi, verso il Sinai egiziano.

UN PROGETTO di spopolamento che Il Cairo ha da subito avversato ma che sembra rimanere l’obiettivo di Tel Aviv: secondo l’israeliano YnetNews, Israele starebbe facendo pressioni sul governo egiziano attraverso gli alleati occidentali. Pressioni economiche: la cancellazione di un pezzo consistente del debito estero egiziano (aumentato a dismisura sotto al-Sisi e responsabile di buona parte della crisi economica interna) in cambio dell’accoglienza dei rifugiati. Una conferma giunge dal Financial Times: Netanyahu sta insistendo sugli alleati europei perché facciano da ponte con Il Cairo.

Oggi il valico di Rafah dovrebbe aprirsi a 81 feriti palestinesi. Intanto Hamas annuncia l’intenzione di liberare alcuni ostaggi stranieri.

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