Rafah resta nel mirino dell’esercito israeliano, con i suoi abitanti e sfollati che scappano sotto il fuoco dei mezzi corazzati. In queste ore però è nel nord di Gaza, a Jabaliya, che si concentrano i bombardamenti più pesanti e i combattimenti più aspri. I mezzi corazzati israeliani sono entrati ieri nel cuore del campo profughi dove i combattenti palestinesi di Hamas, Jihad, Fronte popolare, Comitati di Resistenza Popolare e altre formazioni, nonostante la disparità di forze, resistono oltre ogni aspettativa con agguati improvvisi, sparando razzi anticarro e colpi di mortaio. Un inferno di esplosioni che fa strage di palestinesi, a cominciare dai civili, ma che non risparmia i soldati israeliani che, dopo sette mesi in cui hanno distrutto Gaza, sono stati costretti a tornare nel nord della Striscia che a inizio anno avevano dichiarato «libero» della resistenza palestinese.

Una battaglia diversa è in corso all’Aia. L’attacco dell’esercito israeliano a Rafah è «l’ultima tappa della distruzione di Gaza e del suo popolo palestinese», ha denunciato ieri l’avvocato del Sudafrica, Vaughan Lowe, davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja che si è riunita su richiesta di Pretoria nell’ambito della sua istanza contro Israele per «genocidio». Il Sudafrica ha chiesto alla Corte di ordinare a Israele di ritirarsi da Rafah, di adottare misure per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza per le Nazioni unite, le organizzazioni umanitarie e i giornalisti, e di riferire entro una settimana su come sta rispondendo a queste richieste. Oggi è attesa la replica dell’avvocato di Tel Aviv.

Il Vietnam di Israele è alle porte. Il ministro della Difesa Yoav Gallant l’ha capito e per questo ha preso le distanze due giorni fa dal premier Netanyahu che, per appagare i suoi sogni e quelli della destra religiosa, dietro le quinte non esclude un governo militare israeliano per Gaza e persino la ricostruzione delle colonie ebraiche che furono smantellate nel 2005. Anche Gallant però è fuori strada se pensa che Gaza accetterà qualsiasi governo civile palestinese, o arabo o internazionale, costituito a tavolino all’unico scopo di tenere gli islamisti lontano dalla stanza dei bottoni. Obiettivo impossibile, lo dicono gli analisti locali e internazionali mentre la popolazione israeliana ha ormai compreso che senza un accordo con Hamas al tavolo delle trattative e uno scambio di prigionieri, gli ostaggi ancora in vita a Gaza difficilmente torneranno casa. Netanyahu parla di «vittoria totale» su Hamas, ma, nonostante i colpi subiti, il movimento islamico conserva la capacità di riorganizzarsi militarmente e di affermare il controllo politico, almeno parziale, della Striscia.

I carri armati ieri hanno bombardato pesantemente il mercato principale di Jabaliya e diversi negozi hanno preso fuoco. Protezione civile e Mezzaluna rossa hanno riferito l’uccisione e il ferimento di numerose persone, tra cui civili, ma di non essere state in grado di raggiungerle a causa dell’intensità dell’incursione israeliana. Tra i morti c’è anche un giornalista palestinese, Mahmoud Jahjouh, sterminata anche la sua famiglia. Qualche chilometro più a sud, a Gaza city, squadre di soccorritori hanno continuato le ricerche di dispersi nei sobborghi di Zeitoun e Sabra dove sono stati recuperati i corpi di decine di combattenti e civili al termine di un raid militare israeliano durato sei giorni. A Gaza city ieri è giunto a sorpresa anche il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, che assieme ai massimi rappresentanti dell’Ordine di Malta, ha distribuito aiuti umanitari alla popolazione che resta nel capoluogo della Striscia. I cingolati israeliani si sono spinti fino all’ingresso della vicina città di Beit Hanoun dove hanno demolito case e fabbriche. Israele afferma di aver «eliminato» 150 uomini armati durante gli ultimi attacchi. Il braccio armato di Hamas da parte sua dice di aver distrutto un mezzo corazzato di trasporto delle truppe con un razzo anticarro Al Yassin 105, provocando vittime. Ma il colpo più duro contro le truppe israeliane l’hanno sparato mercoledì per errore due carri armati uccidendo cinque soldati.

Vaughan Lowe
L’attacco dell’esercito israeliano a Rafah è l’ultima tappa della distruzione della Striscia di Gaza e del suo popolo di Palestina

A Rafah, la punta più meridionale di Gaza, gli israeliani hanno mantenuto le loro posizioni nei quartieri orientali mentre F-16 e droni bombardavano la città accelerando la fuga dei civili: negli ultimi giorni almeno 600mila. Un proiettile di un carro armato israeliano ha colpito una zona centrale di Rafah uccidendo un uomo e ferendone molti altri. Gruppi di case ai margini della città sono stati fatti saltare in aria dall’esercito. Benyamin Netanyahu intanto non ha ripensamenti, nonostante la frattura nell’esecutivo causata dalle parole di Gallant, appoggiate dai centristi Benny Gantz e Gadi Eisenkot ma condannate dai ministri di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Laconico il titolo del tabloid di destra Israel HaYom sopra una foto di Netanyahu e Gallant rivolti in direzioni opposte: «Non è questo il modo di condurre una guerra». In uno dei momenti più critici degli ultimi sette mesi, Netanyahu ha scelto i toni da comandante militare: «La battaglia a Rafah è cruciale – ha detto ieri sorvolando il sud di Gaza – deciderà molte cose in questa guerra»

Il bilancio delle vittime di Gaza è salito a 35.272. La fame torna a diffondersi ovunque poiché gli aiuti internazionali sono bloccati dalla chiusura da parte di Israele dei valichi di Kerem Shalom e Rafah. E non è servito sino a oggi per la distribuzione di generi di prima necessità, il porto galleggiante – da 320 milioni di dollari – che i soldati statunitensi hanno ancorato a una spiaggia di Gaza.

Non si ferma neanche il «secondo fronte» tra Israele e Libano. I combattenti di Hezbollah hanno lanciato 60 razzi e un soldato è rimasto ferito. Israele ha continuato a bombardare il sud del paese dei cedri.