A Gaza i bambini trovano l’asilo Arrigoni
Reportage Quattro anni dopo l’assassinio di Vittorio Arrigoni, Gaza non dimentica. Ad al Bureij decine di bambini palestinesi studiano e giocano nell’asilo dedicato a Vik. Un progetto gestito dalle associazioni «Ghassan Kanafani» e «Dima» che promuove una eduzione progressista in una delle aree più povere della Striscia
Reportage Quattro anni dopo l’assassinio di Vittorio Arrigoni, Gaza non dimentica. Ad al Bureij decine di bambini palestinesi studiano e giocano nell’asilo dedicato a Vik. Un progetto gestito dalle associazioni «Ghassan Kanafani» e «Dima» che promuove una eduzione progressista in una delle aree più povere della Striscia
«Da questa parte, forza, spostatevi, non bloccate la strada». Un giovane si improvvisa vigile urbano e prova mettere un po’ d’ordine nel traffico caotico all’incrocio tra la Salah Edin, l’«autostrada» di Gaza, e il campo profughi di Bureji dove ci aspettano all’asilo “Vittorio Arrigoni”.
Quando arrivi in queste zone ti rendi conto delle tante Gaza che esistono all’interno della Striscia. I livelli di drammaticità sono diversi. L’offensiva israeliana «Margine Protettivo» della scorsa estate ha colpito ogni punto di Gaza, nessuno è stato risparmiato. Ma la fascia orientale della Striscia è l’area più destavata, più segnata da bombardamenti e cannoneggiamenti. A Beit Hanoun, Shujayea, Khuzaa e Rafah, povertà, caos e macerie formano un mix micidiale.
La ricostruzione nel frattempo resta un concetto astratto. Gli appelli ad aprire subito i cantieri si accavallano – l’ultimo è quello lanciato da 45 ong e associazioni del coordinamento «Aida» – e si scontrano con le promesse internazionali non mantenute di aiuti per miliardi di dollari e con le forti limitazioni che Israele pone all’ingresso dei materiali per l’edilizia.
La «verità» processuale
Delle tre offensive israeliane contro Gaza, Vittorio Arrigoni ci aveva riferito di quella nota con il nome di «Piombo fuso», tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009. Racconti quotidiani di distruzioni, di esistenze spezzate ma anche di speranza, di bambini che chiedevano (e chiedono) di giocare sereni, di adulti che non vogliono vivere in una Gaza-prigione.
Vittorio voleva restarci per anni a Gaza, per continuare ad informare gli italiani su quanto accadeva (e accade) in questo lembo di terra martoriato dove aveva stretto legami e rapporti indissolubili con persone e luoghi. Non ha potuto farlo.
Quattro anni fa, proprio in queste ore, i palestinesi e gli italiani che lo seguivano e stimavano, appresero del suo brutale assassinio compiuto da alcuni giovani di Gaza e dal loro capo giordano, che si proclamavano membri di una cellula del gruppo salafita Tawhid wal Jihad.
Durante il processo gli assassini affermarono di aver sequestrato Vittorio per usarlo in uno scambio di prigionieri volto ad ottenere la liberazione del loro capo, arrestato e incarcerato dalla polizia di Hamas. Dopo la condanna all’ergastolo, in appello i condannati hanno ottenuto una sentenza più mite. Ora alternano a periodi di detenzione altri di libertà vigilata. A Gaza si sussurra che presto saranno liberi. La famiglia di Vittorio, la madre Egidia e la sorella Alessandra, ancora oggi non sanno quanto la verità processuale coincida con ciò che accadde in quei giorni di metà aprile del 2011. Egidia e Alessandra Arrigoni attraverso la fondazione che porta il nome di Vittorio, hanno avviato progetti e iniziative , per dare continuità al percorso di “Vik”. E come loro hanno fatto altri italiani e anche palestinesi.
Quella che ha lasciato Vittorio non è solo una eredità politica ma anche un’idea di mondo, di vita, di giustizia, di relazioni tra i popoli.
Tra le vittime di Margine protettivo
Abbandonato il taxi ci avviamo verso l’asilo di al Bureji. «Ha aperto lo scorso settembre e tra non molto ne avremo un altro anche a Khan Yunis, sempre con il nome di Vittorio», ci spiega Saad Ziada, uno dei principali promotori del progetto educativo. Che forza d’animo ha Ziada. Ne avrebbe di motivi per essere depresso, devastato. “Margine Protettivo” gli ha ucciso gran parte della famiglia. «A mia madre e agli altri avevo detto di abbandonare casa perchè in quella zona gli israeliani sparavano contro tutto. Non mi hanno ascoltato. Sai, noi palestinesi dopo la Nakba (1948) preferiamo non lasciare le nostre abitazioni, anche quando rischiamo la morte. Dobbiamo resistere e rimanere nella nostra terra», ci dice Ziada davanti all’ingresso dell’asilo gestito dall’associazione socioculturale “Ghassan Kanafani”, dal nome del grande scrittore palestinese nonchè dirigente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, l’espressione più importante della sinistra palestinese.
Partner del progetto è l’associazione italiana “Dima”, dal nome della piccola Dima al Zahal, l’ultima vittima di «Piombo fuso». Dima, oggi avrebbe 11 anni, fu ferita gravemente alla testa, all’addome e alle gambe il 7 gennaio 2009 da un bombardamento aereo sulla sua città, Beit Lahiya. Trasferita all’ospedale “Palestine” al Cairo, spirò la mattina del 2 marzo 2009, poche ore dopo la visita di una delegazione italiana diretta a Gaza.
«Signora Egidia, l’aspettiamo»
Con somme diverse donate all’associazione “Dima”, i 99 Posse, il manifesto, Egidia e Alessandra Arrigoni, Fulvio Renzi con il suo «The Reading Movie» e numerosi italiani hanno contribuito all’apertura dell’asilo «Vittorio Arrigoni».
Ci accoglie uno stormo di piccoli che corrono in classe. A guidarci nella visita all’asilo è Safaa Rajudi, una delle cinque insegnanti che, assieme a due assistenti, si occupano di 85 bambini tra i quattro e i sei anni. Safaa manda subito un saluto alla mamma di Vittorio. «Signora Egidia, speriamo di potere accogliere presto lei e sua figlia – ci chiede di scrivere l’insegnante -, l’impegno di Vittorio per Gaza fa parte dei racconti inseriti nel programma di apprendimento dei nostri bambini».
L’asilo ha tre aule, colorate, ben arredate. Il cortile in parte è ricoperto di sabbia, dove sono state sistemate le giostre. Intorno il muretto è decorato con personaggi dei cartoon e dei fumetti. Alle spalle domina un disegno con l’immagine di Vittorio.
«Il nostro asilo è un po’ diverso dagli altri – aggiunge Safaa – se da un lato seguiamo il programma del ministero (dell’istruzione, ndr), dall’altro cerchiamo di favorire la creatività dei bambini, di affrontare temi che non sono trattati nelle altre strutture scolastiche di Gaza. E non manchiamo di dare sostegno psicologico ai bambini che più di altri hanno subìto il trauma della guerra, dell’attacco militare israeliano, che hanno perduto membri della loro famiglia o la loro abitazione. E se prima a motivarci c’era solo la memoria di Ghassan Kanafani ora c’è anche quella di Vittorio».
Un modo di educare e di lavorare che ha convinto i responsabili di “Dima”. «Durante la nostra visita a Gaza, un paio di anni fa – spiega Francesco Giordano – abbiamo potuto verificare l’importanza della presenza dell’Associazione Ghassan Kanafani all’interno della società palestinese, soprattutto tra le fasce più povere ed abbandonate per farle crescere in autonomia e libertà e non soggiogate dalla loro condizione di bisogno». L’impegno rivolto ai bambini più poveri ed emarginati di Gaza, fondato sulla cultura nazionale democratica e l’impiego del lavoro delle donne, sono i punti che hanno avvicinato “Dima” e “Ghassan Kanafani”. «Siamo convinti che per rafforzare la resistenza del nostro popolo – spiega Saad Zaida – e per affrontare l’occupazione israeliana si dovrebbero rafforzare gli indirizzi democratici e il progresso nella società palestinese. Siamo convinti della centralità e dell’importanza dell’educazione, della democrazia e del progresso».
Giordano sottolinea la centralità che Vittorio Arrigoni assegnava ai princìpi e ai programmi fondanti dell’asilo di al Bureij che ora porta il suo nome. «Vittorio non si disperava mai – ricorda – aveva capito fin dall’inizio dove stavano i torti e dove le ragioni e scelse da che parte stare, senza tentennamenti. Il sentirsi costantemente dentro una grande, percepita e visibile ingiustizia non lo ha mai fiaccato. I bombardamenti, gli omicidi mirati, le perquisizioni, i sequestri dei palestinesi, che fossero uomini, donne o bambini non modificavano mai il suo stile, ed il contenuto dello scrivere: sempre attento, preciso, direi minuzioso e miracolosamente quando leggevamo tutto scorreva come un ruscello, capivamo tutto, sentivamo l’occupazione, l’umiliazione di essere oppressi sulla propria terra».
La morte di Vittorio, prosegue Giordano, «sul momento ci fece perdere la speranza, ci colpì violentemente da farci quasi svenire, il mondo s’era capovolto. Trovammo lucidità coi giorni, quando andammo a rileggere le sue testimonianze, a guardare le foto ed i filmati, quando chi ne aveva rovistava nei ricordi. Vittorio – conclude Giordano a nome di “Dima” – scriveva sempre di restare umani, di non cedere a quelli che ci vorrebbero disumanizzare. Restare umani significa seguire l’esempio di donne e uomini come Rachel Corrie, Tom Hundall e, appunto, Vittorio Arrigoni che hanno scelto di mettere da parte un pochino della propria ragionevolezza per non sacrificare la propria umanità». I bambini di al Bureji lo imparano ogni giorno, nel ricordo di Vik.
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