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A Cuba deputati Usa: «Il dialogo resti aperto»

A Cuba deputati Usa: «Il dialogo resti aperto»Il presidente cubano Raul Castro durante la visita di Obama – LaPresse

Washington/L'Avana Raul Castro ribadisce di voler mantenere buone relazioni con gli Stati uniti. Il deputato democratico Usa Leahy: «È impossibile rimettere il genio nella lampada»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 26 febbraio 2017

«Fallisce una provocazione anticubana», titolava in prima pagina giovedì il quotidiano del Pcc, Granma. Per sventarla, affermava, un comunicato del ministero degli Esteri, il governo cubano ha negato l’ingresso nell’isola al segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), Luis Almagro, come pure all’ex presidente messicano Felipe Calderón e all’ex ministra cilena Mariana Aylwin, invitati all’Avana da «un gruppuscolo illegale anticubano» guidato da Rosa María Payá, figlia di Oswaldo un noto dissidente morto nel 2012 a seguito di un incidente d’auto (che secondo la famiglia fu «provocato» dai servizi segreti cubani).

Una misura tanto dura contro il segretario dell’Osa – che ha ovviamente scatenato commenti negativi di molta stampa internazionale, non solo latinoamericana – viene spiegata dal Ministero degli esteri con la necessità di impedire che venisse organizzata «all’Avana una aperta e grave provocazione contro il governo cubano» per «generare instabilità interna» e «compromettere il progressivo avanzamento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti».

Il livello dello scontro, che ormai coinvolge anche personalità di spicco latinoamericane e non solo oppositori cubani e il vertice dell’anticastrismo della Florida, dimostra come la questione dei rapporti tra Cuba e l’amministrazione Trump sia importante per il governo guidato da Raúl Castro.

Il presidente infatti ha ribadito la sua volontà di mantenere buone relazioni con Washington ricevendo, proprio nei giorni in cui avrebbe dovuto aver luogo la «provocazione», una delegazione di congressisti statunitensi di entrambi i partiti guidata dal democratico Patrick Leahy. E consegnando loro una copia firmata del discorso pronunciato di fronte alla Comunità degli Stati latinoamericani e caribegni (Celac), nella quale esprimeva la sua volontà di negoziare col presidente Trump.

Da parte sua, Leahy, da anni impegnato in una politica di riavvicinamento tra gli Usa e Cuba, ha affermato che «è inevitabile» il proseguimento delle relazioni con l’isola, data la popolarità che esse godono nella maggioranza della popolazione degli States: «È impossibile rimettere il genio nella lampada», ha concluso.

Proprio per questa ragione Leahy ha lodato la decisione del presidente Raúl Castro di evitare polemiche nei confronti di dichiarazioni bellicose emesse da collaboratori di Trump e di mantenere una politica di porte aperte alle trattative.

Da mesi, vari ministri cubani hanno ripetuto che gli investimenti esteri costituisco la priorità del governo. Tanto più dopo un anno – il 2016 – in cui l’economia è precipitata in una sostanziale stagnazione. Per rilanciare lo sviluppo dei settori trainanti che sono energia, turismo e infrastrutture, è necessario raggiungere almeno la quota di 2,5 miliardi di investimenti l’anno.

Un tetto ancora lontano. E che assai difficilmente può essere raggiunto se il presidente statunitense Trump decidesse una marcia indietro rispetto alle apertura del suo predecessore.

Per questo sul magnate ora neopresidente continua il pressing dei «duri» dello schieramento cubano-americano anticastrista della Florida. In primis del senatore Mario Rubio e di Diaz-Balart. Quest’ultimo nei giorni scorsi si è spinto fino a prennunciare entro breve «una crisi tra Usa e Cuba».

La situazione di incertezza sulle prossime mosse del presidente-magnate ha provocato – secondo lo storico cubano e Lopez Oliva – una sorta di «immobilismo ideologico» da parte del vertice cubano. Con conseguenza interne – un giro di vite nei confronti del dissenso e misure dirigiste per il contenimento dei prezzi – e a livello latinoamericano. Dove l’unica risposta politica al «protezionismo» e alle posizioni xenofobe di Trump proviene dal campo dei suoi alleati, sotto l’impulso soprattutto del presidente argentino Mauricio Macri.

Nelle scorse settimane il capo della Casa Rosada si è incontrato prima col presidente golpista brasiliano Temer, poi con la presidente cilena Michelle Bachelet per favorire un’alleanza tra Mercosur (dal quale è stata «sospesa» la partecipazione del Venezuela proprio per decisione del duo di destra argentino-brasiliano) e l’Alleanza per il Pacifico (Messico-Perù-Cile-Colombia) per concordare la formazione di un blocco liberista.

Il messaggio è stato ripetuto a Madrid, dove il presidente argentino Macri si è incontrato con l’eterno alleato delle destre latinoamericane, il premier Rajoy, per favorire una serie di accordi tra Mercosur e Unione europea.

Per rispondere ai «venti del protezionismo» che spirano da Washington si deve – secondo Macri – approfondire l’integrazione economica latinoamericane sotto la bandiera del neoliberismo. «Questo disordine mondiale è una grande opportunità per i paesi che sono decisi ad andare avanti» ha affermato il presidente argentino.

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