Internazionale

«A Chicago nessuna svolta, ma sulla Palestina l’elettorato è più avanti»

«A Chicago nessuna svolta, ma sulla Palestina l’elettorato è più avanti»Chicago, manifestanti pro-Palestina a Union Square, di fronte alla convention democratica – Ap/Noah Berger

Intervista Mjriam Abu Samra analizza la linea dem su Gaza. «Durante la Convention si è tentato di ignorare le voci che chiedono un cambiamento radicale. Ma non credo che sarà possibile per i leader del partito continuare così». Il principio dell'autodeterminazione citato da Kamala Harris? «È una retorica che legittima il progetto coloniale»

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 24 agosto 2024

Kamala Harris ha invocato libertà, diritti, sicurezza e autodeterminazione per i palestinesi. Non ha fatto però riferimento esplicito alla creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano. Ne abbiamo parlato con l’analista Mjriam Abu Samra, ricercatrice «Marie Curie» presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari e l’Università di California, Davis. «Il riferimento all’autodeterminazione così come ai principi di libertà e dignità ha sempre caratterizzato la retorica dei Democratici», ci dice Abu Samra che abbiamo raggiunto telefonicamente ad Amman.

Quindi non siamo di fronte alla svolta di cui ha parlato e scritto qualcuno.

Proprio no. Anche l’accordo di Oslo (tra Israele e Olp del 1993), sostenuto dall’ex presidente democratico Bill Clinton, è stato presentato come un processo di pace basato su questi valori, ma di fatto è stato uno strumento di legittimazione di pratiche coloniali sioniste ancora più articolato. Paradossalmente anche il Deal of the Century dell’ex presidente repubblicano Donald Trump è in linea con questo approccio e questa retorica, ciò dimostra proprio la continuità e la coerenza della politica statunitense verso la Palestina. Il discorso di Kamala Harris va letto in questo contesto. Non siamo di fronte a un cambiamento di strategia in Medio oriente, all’offerta, ad esempio, di una garanzia per il diritto al ritorno per i profughi palestinesi o a una trasformazione radicale rispetto alla condizione di occupazione e di colonialismo. Il concetto di autodeterminazione così come è stato presentato da Harris può voler dire tutto oppure niente. Gli israeliani lo interpretano come una forma di auto amministrazione senza sovranità, indipendenza e dignità per i palestinesi. In fondo è quello che vogliono anche i Democratici in linea con la politica che hanno sempre portato avanti e sostenuto dal 1948 ad oggi. L’autodeterminazione è una legittimazione del progetto coloniale per la Palestina. Ma gli arabi negli Usa l’hanno capito e non si accontentano più di questa retorica. Anzi la denunciano con grande forza come abbiamo visto con le proteste che sono state organizzate durante la Convention e la formazione dei gruppi degli Uncommitted che non andranno a votare.

Negli Stati Uniti, durante il suo lavoro accademico, è stata testimone delle proteste nelle università a sostegno di Gaza. Quali reazioni ha raccolto tra i suoi contatti e conoscenze su come la Convention dem ha trattato la questione palestinese?

Il fatto stesso che alla Convention si sia tentato di ignorare le voci che chiedono un cambiamento radicale della politica verso la Palestina sottolinea la crisi profonda che il Partito democratico sta vivendo. Allo stesso tempo è apparsa chiara la determinazione con cui l’elettorato democratico sta portando avanti le sue richieste di cambiamento. Non credo che sarà possibile per i leader del partito continuare ad ignorare queste voci. Il movimento popolare è in crescita e conduce una critica netta e radicale all’establishment politico statunitense in generale e nello specifico al Partito democratico non in linea con le ambizioni politiche e sociali della popolazione e che di fatto garantisce solo gli interessi di pochi.

Ora si trova in Giordania per continuare le sue ricerche. Come le popolazioni arabe hanno reagito al discorso di Kamala Harris? Gli arabi preferiscono lei, presunto male minore, all’ex presidente repubblicano Donald Trump?

Credo che in Giordania e in tutto il mondo arabo le popolazioni non vedano più alcuna differenza strategica e di visione tra Repubblicani e Democratici. Quello che è presentato come il male minore è semplicemente un’altra faccia di una stessa medaglia, quella di una politica coloniale e imperialista che si manifesta in maniera esplicita e brutale soprattutto in questa regione.

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