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A chi tax credit? A noi

A chi tax credit? A noiButtafuoco, Corsini, Sangiuliano, Barbera a Venezia – foto Ansa

Venezia 81 «Presto saranno aperte le finestre», ha minacciato Mollicone. (Magari, sospiravamo noi del Pavilion).

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 1 settembre 2024

All’Italian Pavilion di Venezia, nei saloni al pian terreno dell’Excelsior che ospitano l’attività del Ministero dello Spettacolo, non va l’aria condizionata. Probabilmente era così anche nel 1932 quando la Mostra fu inaugurata, come ricorda e sottolinea ben due volte il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco nella sua introduzione al catalogo della Mostra. Ammicca?
In un’intervista di qualche giorno fa al Gazzettino diceva: «Cerco di evitare all’interlocutore di fare la figuraccia nel pronunciare luoghi comuni», e si riferiva alle vecchie rotture dell’antifascismo. Visto ieri partecipare a un un’iniziativa al Pavillon in completo di lino bianco, quasi come il vecchio conte Volpi. Anche il premiato era in lino bianco, però era Marco Bellocchio.
Qualche giorno fa al Pavilion sono arrivati quattro ventilatori, due bianchi e due neri, le malelingue dicono comprati in un negozietto cinese, però li hanno puntati soltanto sul volto dei relatori. Il pubblico si arrangi coi ventagli, gadget essenziale di questi giorni infuocati. Appropriatamente la sala dove si tengono gli incontri si chiama «Tropicana 1», ma nessuno ci aveva pensato prima.

Qui ieri mattina in un incontro affollatissimo si è tornati a parlare di tax credit. Il malloppo. Umidità da giungla per il fronte di guerra vero con il quale la destra va all’assalto del cinema italiano, continente che le è da sempre estraneo, più che ostile.
Altro che i red carpet con Sigourney Weaver e Caterina Balivo. La nuova legge sui finanziamenti al cinema del ministro Sangiuliano (sue notizie in questi giorni ne dà soltanto Dagospia) ancora attende decreti, regole e nomina delle commissioni. Promessi tra settembre e novembre se abbiamo capito. Il resto sono «fake news» ha detto il presidente della commissione cultura Mollicone, FdI, uno dei cavalieri della nuova egemonia culturale. «Presto saranno aperte le finestre», ha minacciato. (Magari, sospiravamo noi del Pavilion).

La sottosegretaria Borgonzoni accanto al direttore della sezione cinema del ministero Nicola Borrelli, e qui entriamo più nel profondo della nuova nomenclatura della destra cinematografara, si è presentata con intenti apparentemente meno bellicosi di quelli che hanno portato alla stesura del decreto: l’ossessione nei confronti dei soldi buttati per il cinema impegnato de sinistra, amici e parenti.
Nella legge si parla di sostegno alle «opere difficili», in effetti.

«Ragazze imparate a fare commedie leggere, meno film impegnati», aveva dichiarato Borgonzoni in una di quelle intervistine innocenti che però spalancano mondi e antropologie. Tagliare i contributi, eliminare dal gioco molti piccoli e medi produttori, far entrare la distribuzione e le sale in questo gioco, è la sostanza di quel che accadrà. Mentre le associazioni di autori esprimono le loro fondate preoccupazioni, il silenzio sui 52 milioni di euro già promessi ai film che raccontino l’«identità italiana» (un’enormità, circa un terzo dei fondi stanziati per le opere«difficili»), è il vero scheletro nell’armadio di questo storia.
Sarà la leva della nuova generazione di un cinema de destra, amici e fratelli? Chissà. Se tutto va male – attenzione che questa è grossa – «la Venezia della serialità televisiva sarà in Romagna, dove nel giugno 2025 si svolgerà un Festival della Fiction», ha annunciato la stessa Borgonzoni per competenza territoriale. Speriamo siano più fortunati con l’aria condizionata.

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