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Zone «sicure» nel sud per ammassare civili L’Onu dice di no

Zone «sicure» nel sud per ammassare civili L’Onu dice di no

Gaza Le Nazioni unite rispondono alla proposta statunitense che consentirebbe a Israele di proseguire nei raid a tappeto. Allo Shifa muoiono i pazienti in terapia intensiva A Gaza si sono raggiunti ormai i 12 mila uccisi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 novembre 2023
Michele GiorgioGERUSALEMME

Il quadro fatto all’Assemblea Generale delle Nazioni unite, dal Sottosegretario generale per gli affari umanitari Martin Griffiths conferma la gravità della crisi umanitaria innescata dall’offensiva aerea e di terra lanciata da Israele più di 40 giorni fa dopo l’attacco di Hamas. Dei 24 ospedali nel nord di Gaza, ha spiegato Griffiths solo uno – l’ospedale al-Ahli – è operativo e accoglie pazienti. Ma è circondato da forze militari israeliane che, denuncia la Mezzaluna rossa, ne ostacolano le attività. Altri 18 sono chiusi e cinque offrono servizi limitati. Le scorte di acqua e cibo nel nord, ha proseguito Griffiths, sono scarse e la mancanza di carburante significa che le comunicazioni e altre funzioni essenziali, come la desalinizzazione dell’acqua, vengono progressivamente interrotte. Centinaia di migliaia di palestinesi rimangono nel nord di Gaza trasformato dai bombardamenti in una distesa di macerie. «La richiesta da un punto di vista umanitario è molto semplice: fermare i combattimenti per consentire ai civili di spostarsi in sicurezza. Fatelo per un periodo indefinito per facilitare una risposta umanitaria senza ostacoli», ha detto il funzionario dell’Onu, chiedendo che alla Croce Rossa sia concesso l’accesso agli ostaggi israeliani e stranieri prigionieri a Gaza. Persino più tragica la descrizione dell’emergenza sanitaria nella Striscia fatta dal direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Ha definito la crisi che travolge oltre due milioni di palestinesi una «prova del fuoco per le Nazioni unite e per i suoi Stati membri». Organizzazione delle Nazioni unite, ha ricordato il capo dell’Oms in un discorso appassionato «è stata fondata per promuovere la pace nel nostro mondo. Se voi, come Stati membri, non volete o non potete fermare questo spargimento di sangue, allora dobbiamo chiederci: A cosa servono le Nazioni unite?».

Interrogativo centrale quello di Ghebreyesus che ci poniamo tutti, e non da oggi, ma il direttore generale dell’Oms sa bene che pochi Stati decidono le sorti del mondo. E gli Usa in questo caso quelle della gente di Gaza. Il cessate il fuoco generale immediato è l’unica risposta possibile per assistere i civili e per tentare di ottenere la liberazione degli ostaggi a Gaza. Ieri Hamas ha diffuso il video di un ostaggio 86enne, Arye Zalmanovich, in evidenti condizioni critiche. Giovedì erano stati trovati nei pressi dell’ospedale Shifa i corpi di una donna di 65 anni e di una soldatessa. Per Israele sarebbe la prova che sotto il principale ospedale di Gaza c’è una ampia base del movimento islamico. Hamas replica che diversi ostaggi, feriti o ammalati, sono stati portati all’ospedale per essere curati.

Circolano indiscrezioni di un possibile scambio tra 50 ostaggi israeliani e 50 donne e minori palestinesi in carcere in Israele, oltre a tre giorni di tregua. Poi la guerra riprenderà. Washington e gli alleati occidentali sono fermi sull’appoggio all’offensiva militare di Israele sebbene abbia già fatto oltre 11mila morti tra i palestinesi. E si svilupperà anche lungo la fascia sudorientale della Striscia con effetti che saranno simili per devastazioni a quanto avvenuto al nord. L’obiettivo ribadito anche in questi giorni dal premier Netanyahu è «distruggere Hamas» che, stando ai bollettini militari israeliani, avrebbe subito dei colpi durissimi e perduto 14 dei suoi 24 battaglioni a nord di Gaza e si sarebbe fortemente indebolito. Ma non deve essere così debole visto che ieri da Gaza è stato in grado di lanciare una quantità enorme di razzi verso Tel Aviv e il centro di Israele.

I veri deboli sono i civili innocenti da 40 giorni sotto bombardamenti e sfollati in massa dai distretti settentrionali di Gaza. Rischiano la morte persino negli ospedali, anche nello Shifa. In otto giorni, riferiva ieri Ashraf Al Qudra del ministero della sanità a Gaza, allo Shifa sono morti 50 pazienti, tra cui quattro in dialisi e tre bambini prematuri. Il capo del dipartimento grandi ustioni, Ahmed Makhlati, ha denunciato che le truppe israeliane, che da tre giorni entrano ed escono dallo Shifa, hanno portato via diverse salme.

L’opposizione a dare qualsiasi aiuto ai civili palestinesi resta granitica in larghi settori dell’opinione pubblica israeliana e anche nella maggioranza di governo. I palestinesi di Gaza considerati tutti «terroristi». Non sorprendono le proteste divampate nella coalizione di governo e nel partito Likud, dopo la decisione del gabinetto di guerra, su pressione della Casa Bianca, di consentire l’ingresso quotidiano a Gaza di due autocisterne cariche di gasolio. Poche gocce nel mare del bisogno di carburante per soddisfare in minima parte le esigenze delle agenzie dell’Onu, tenere accesi i generatori di elettricità per le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie al fine di prevenire lo scoppio di epidemie. «Questa è l’ora di mettere a ferro e fuoco Gaza e di non permettere l’ingresso di carburante e acqua, fino al ritorno degli ostaggi» ha inveito il deputato del Likud Nissim Fituri. Per il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich «L’introduzione di carburante a Gaza è un grave errore. Trasmette debolezza e inietta ossigeno al nemico».

Il segretario di stato Usa Blinken ribadisce che Israele non dovrà rioccupare Gaza in modo permanente e conferma che Washington rivuole al potere nella Striscia l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. Ipotesi scartata seccamente da Netanyahu. L’agenzia Bloomberg riferisce, citando fonti anonime, che gli Stati uniti e i loro alleati europei spingono per schierare a Gaza una forza internazionale dopo la guerra. Una possibilità remota: la storia dice che Israele non ha mai permesso a un contingente armato internazionale di dispiegarsi all’interno dei territori che controlla. E il gabinetto di guerra ha già detto che la «sicurezza» a Gaza sarà solo nelle mani di Israele. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller sostiene che Washington intende stabilire «zone sicure» per i civili nel sud di Gaza: in sostanza ammassarli, persino peggio di adesso, nell’area agricola di Mawasi in modo che l’esercito israeliano abbia piena libertà di manovra (e di distruzione) nelle altre aree del sud di Gaza. Le principali agenzie delle Nazioni unite hanno annunciato il loro rifiuto di proposte unilaterali, come le «zone sicure», senza l’approvazione di tutte le parti.

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