Yuval Avital, l’uomo è «custode» della Terra
La mostra L’artista israeliano Yuval Avital e la sua personale «Lucus» alla Fondazione Biscozzi /Rimbaud
La mostra L’artista israeliano Yuval Avital e la sua personale «Lucus» alla Fondazione Biscozzi /Rimbaud
Abbiamo incontrato Yuval Avital, artista israeliano (Gerusalemme, 1977) a Lecce, in occasione della sua nuova mostra Lucus (visitabile fino al 7 gennaio 2024, Fondazione Biscozzi /Rimbaud, a cura di Massimo Guastella) e, alla luce degli eventi tragici di questi giorni non si poteva non chiedergli di pensare a come sia possibile far nascere una diversa cultura nelle nuove generazioni e quale possa essere uno scenario – volendo avere uno sguardo verso il futuro – da auspicare. Ovviamente, non adesso ma in tempi ordinari.
«Credo che, come umanità, abbiamo ancora molte cose da capire – ha detto Avital –. Questo pensiero l’ho avuto anche dopo la pandemia: la consapevolezza di non essere proprietari della terra ma esserne i custodi, capire la preziosità del tempo e comprendere l’importanza di essere uniti e il fatto che siamo tutti interconnessi. Tutti questi elementi ancora non li abbiamo né imparati né assimilati. Penso che gli esseri umano abbiano raggiunto traguardi scientifici molto importanti ma cosa voglia dire vivere con e nell’umanità, nel pianeta e nella natura e con la natura… su queste cose siamo ai primi passi. Anzi, spesso, purtroppo, procediamo addirittura all’indietro».
È questa dunque la direzione verso la quale dirigersi? «Bertrand Russell in una bella intervista alla Bbc nel 1959, quando gli fu chiesto quale fosse un consiglio da offrire alle nuove generazioni, disse una cosa molto semplice e importante: l’amore è saggio, l’odio è sciocco. In un mondo interconnesso dovremmo riuscire a tollerarci l’un l’altro e imparare a sopportare il fatto che alcune persone dicano cose che non ci piacciono. È necessario trovare quel senso di tolleranza e di carità, vitale per la continuazione della specie umana su questo pianeta».
Yuval Avital, sul vivere e creare con le comunità, ha esperienza lunghissima. Ogni volta in luogo diverso infatti, e partendo dal concetto fondamentale di identità del luogo in cui opera, coinvolge chi vi abita trascinando la comunità dentro a riti collettivi, corali, fatti di movimenti, cammini, danze. Si creano così, con il luogo e le persone, profonde connessioni delle quali poi rimane un segno e una memoria, integrati nella terra che lo ha accolto.
Questa volta nel cuore del Salento, che coi suoi colori e le sue pietre gli evoca ricordi dell’infanzia a Gerusalemme, è nato Lucus, un progetto site-specific ispirato al bosco sacro, il lucus appunto (arborum moltitudo cum religione), l’antico bosco, questa volta salentino, di lecci ma anche di querce, allori, corbezzoli, lentaggine e caprifoglio, che un tempo copriva una terra oggi provata da incendi e xylella oltreché dalle grandi ondate estive di visitatori. Nel varco che così si è creato fra uomo e natura – concetto carissimo a Yuval che cita il Pentateuco quando recita di «…non causare male all’albero di campo che è come l’uomo, ha radici e rami…» – l’artista scopre però l’ozio italiano della spiaggia con bagnanti, famiglie, sabbia e giochi, musiche e mare.
Con la figlia piccola va ai laghi Alimini dove una spiaggia affollata è per lui campionario di corpi che sprofondano, si immergono nell’acqua e riemergono, saltano e corrono. Lui li ritrae in tante piccole gouaches in cui la china, addirittura con l’acqua di mare, si deforma e svanisce come nella serie Fadings.
Quella dei Bagnanti è una delle parti più belle della mostra: minuscoli corpi alle pareti e piccoli corpi in gesso bianco come fauni, come idolini in mezzo alla stanza. Ci si cammina accanto e in mezzo seguendo una leggera linea dell’orizzonte tracciata sul muro mentre le musichette da spiaggia riecheggiano in sottofondo. La dimensione sonora, essenziale in tutto il lavoro di Avital, avvolge chi si avventura nella sala successiva dove un coro di voci si leva da molte maschere che, poste su piedistalli, creano un bosco di suoni.
Realizzate con materie davvero varie e, come in didascalia del catalogo, «in dialogo» con preziose botteghe artigiane che lavorano per esempio l’alabastro volterrano (Roberto Morselli) o da sempre la scagliola fiorentina (Bianchi), le maschere, quasi sciamaniche, emettono ciascuna un suono diverso che un visitatore attento udrà accostandoci l’orecchio. Artigiani preziosi della cartapesta a Lecce sono poi Cosimo Quaranta e Dante Vincenti autori, con e per Yuval, di alcuni grandi menhir ispirati a reali megaliti salentini: forme appartenenti al territorio del Salento, stele sepolcrali o indicatori di confini territoriali sempre comunque dalla funzione rituale.
Alcune grandi sculture sonore sono sparse nelle sale della bellissima collezione storica della Fondazione Biscozzi-Rimbaud: sono i Singing tubes che l’artista mette appositamente in dialogo con le meravigliose opere di Zorio e di Schifano, Turcato e Calzolari. Un gigantesco verme verde, una giraffa e un grande ragno blu emettono un suono vagamente umano che esce dal tubo col quale sono realizzati. Il tubo – ci ricorda Avital – è una parola importante nella mistica cabalistica ebraica perché rappresenta quel canale che permette all’anima di ascendere in cielo, un connettore fra l’umano e il divino.
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