«Congratulazioni per il successo del XX Congresso». «Erano 4 anni che non ci vedevamo, ti trovo bene». Può sembrare strano, ma questo scambio di convenevoli è uno dei passaggi più interessanti del summit dell’Asia-Pacifico conclusosi ieri a Bangkok. Soprattutto per l’identità degli interlocutori: Xi Jinping e Morris Chang.

QUEST’ULTIMO, 91ENNE fondatore del colosso dei semiconduttori Tsmc, era per la sesta volta l’inviato di Taiwan al vertice regionale. Alle tensioni militari sullo Stretto e le restrizioni degli Usa sui chip, fa da contraltare una breve conversazione descritta come “deliziosa” dallo stesso Chang in conferenza stampa. Toni consoni all’intensa settimana diplomatica di Xi, tornato sulla scena globale al G20 di Bali e protagonista di una serie di incontri che sembrano aver parzialmente aggiustato la prossemica della diplomazia cinese. Da Joe Biden ai leader europei (compresa Giorgia Meloni), dal sudcoreano Yoon Suk-yeol al giapponese Fumio Kishida, Xi ha stretto la mano a tutti mostrando sorrisi ben più pronunciati di quelli solo abbozzati in passato.

COSÌ COME IL VERTICE DEL G20, anche quello dell’Apec si è concluso con una dichiarazione congiunta nella quale si legge che la «maggior parte» dei paesi condanna la guerra e sottolinea che essa «provoca immense sofferenze umane e aggrava le fragilità esistenti nell’economia globale». Formula che consente alla Cina di apparire in avvicinamento all’occidente senza però scaricare la Russia. Anzi. La posizione di Pechino, che in realtà non è mai significativamente cambiata dall’inizio dell’invasione, può restare la stessa di sempre: condanna delle minacce nucleari e delle conseguenze economiche di una guerra di cui i primi responsabili (nella sua narrativa) sono Usa e Nato.

Xi Jinping all'Apec di Bangkok, foto Ap
Xi Jinping all’Apec di Bangkok, foto Ap

IL VERTICE THAILANDESE è stato dunque dominato dalla geopolitica. Non solo dall’Ucraina, ma anche dalla nuova escalation nella penisola coreana. Dopo la tregua in concomitanza del G20, Pyongyang è tornata a effettuare test balistici. Ieri mattina i media di stato hanno condiviso delle foto di Kim Jong-un con moglie e figlia mentre supervisiona il lancio del missile intercontinentale finito venerdì al largo della regione giapponese dell’Hokkaido.

Il messaggio del leader supremo, secondo diversi analisti, è il seguente: «Lo faccio per difendere la mia famiglia, dunque la mia patria». Nei giorni scorsi si sono succeduti diversi incontri fra Usa, Corea del Sud e Giappone, che hanno convenuto di rafforzare la cooperazione difensiva trilaterale. A Bangkok, la vicepresidente americana Kamala Harris ha riunito i partner asiatici con l’aggiunta di Australia, Canada e Nuova Zelanda per condannare i lanci e paventare una «risposta forte e risoluta» di fronte all’ormai più che probabile nuovo test nucleare nordcoreano. A Seul lo ritengono ormai solo questione di settimane.

HARRIS HA INCONTRATO anche Xi, auspicando il mantenimento del canale di dialogo riaperto dal bilaterale di Bali con Biden, definito dal presidente cinese «strategico e costruttivo». Ma attenzione a definirlo disgelo, sembra semmai una ridiscussione dei limiti del confronto, per far sì che non sfoci in qualcosa di peggio. Già a Bangkok sono emerse posizioni diverse. A partire dai nomi. «Chi partecipa all’Apec ma continua a parlare di Indo-Pacifico partecipa all’incontro sbagliato. È l’Asia-Pacifico», ha twittato Chen Weihua, corrispondente in Europa del China Daily. Un modo per ricordare che il concetto di “Indo-Pacifico”, coniato dal Giappone in ambito Quad, non è considerato neutro.

«QUESTO NON È IL CORTILE di nessuno» ha detto Xi nel suo discorso. «Gli Usa sono qui per rimanere», ha detto Harris. E si preparano già nuove frizioni “territoriali”. La vicepresidente si appresta a visitare le Filippine: incontrerà il presidente Ferdinand Marcos Jr. e si recherà a Palawan, l’arcipelago più vicino alle isole contese Spratly. Harris riceverà un briefing su una porzione di mare che la Cina rivendica quasi interamente. Sullo sfondo un potenziale Pelosi-bis, col probabile nuovo speaker repubblicano della camera Kevin McCarthy che in passato ha manifestato l’intenzione di visitare Taipei. Difficile in quel caso prevedere convenevoli sullo Stretto.