Viene accolto nella sala delle conferenze stampa con una standing ovation Woody Allen, insieme al cast di Coup de chance. Incline al suo proverbiale umorismo, risponde alle prime domande che sono incentrate sulla questione della lingua: non aveva mai realizzato un film in francese, ammette di non conoscerlo, ma «basta il body language per capire se la recitazione sia buona o meno, non ho avuto difficoltà». La ragione di questo avvicinamento alla Francia è presto detto: «Quando ho iniziato, tutti volevamo fare i film come gli europei, come Renoir, Resnais…ho voluto unirmi a loro. E poi amo Parigi così tanto, mi sono trovato bene e spero ci saranno altre possibilità. Comunque, ho scritto il copione al mio solito modo: prima a mano, seduto sul letto, per poi passare alla macchina da scrivere. Quello della lingua è un cambiamento “cosmetico”, legato anche alla produzione, che non modifica la sostanza. Se qualcuno volesse offrirsi per finanziare il mio prossimo film posso andare anche in Islanda…ma avrei una bella idea da realizzare a New York».

Continua poi Allen: «Sono stato fortunato tutta la vita, ho avuto una bella famiglia e un ottimo matrimonio, a 88 anni non sono mai stato in ospedale. Potrebbe cambiare oggi pomeriggio ma finora è andata così», una dichiarazione che solleva qualche perplessità visto che l’ipotesi dello stupro della figlia adottiva Dylan Farrow non è mai stata fugata, ma tant’è. Allen d’altronde ha sempre negato tutto. La notte precedente, tra l’altro, erano stati affissi diversi manifesti a Venezia (prontamente rimossi) indirizzati al trio Allen, Polanski e Besson.

«ISOLA degli stupratori», «No lion for predators», «Coup de Chance: la justice ne fait pas son travail», (colpo di fortuna, la giustizia non fa il suo dovere) alcune delle scritte. In sala stampa però c’è un clima molto diverso, di adorazione per il maestro al suo cinquantesimo film.
L’incontro procede entrando più nel merito di Coup de Chance. C’è chi sottolinea il carattere ricorrente della questione della morte nella filmografia del regista. «È veramente un brutto affare, purtroppo non ci si può fare nulla. Non c’è via d’uscita: né la commedia, né la filosofia, né il cinema…meglio non pensarci troppo. Il film rimanda a Match Point per il tema fondamentale, il ruolo del caso, entrambi dicono la stessa cosa con storie diverse». Si è fatto poi notare Vittorio Storaro, che rivendica il suo ruolo di «autore della fotografia cinematografica» e non di direttore come si dice comunemente. Infine l’attrice Lou de Laâge: «Abbiamo avuto molta libertà, il che significa più responsabilità, con una tensione che mi è piaciuta».