Se nel torneo maschile sono arrivati alle semifinali i primi tre della classifica mondiale, Carlos Alcaraz, Novak Djokovic e Daniil Medvedev, più Jannik Sinner, il quarto della graduatoria riferita ai soli risultati del 2023, nel tabellone femminile le cose sono andate in modo leggermente diverso. A parte Aryna Sabalenka, numero due del mondo, le altre hanno dovuto affrontare una se non più partite contro il pronostico.
Ons Jabeur era attesa a una conferma dopo la finale dello scorso anno persa contro Elena Rybakina. La prima parte della stagione, però, aveva destato qualche perplessità dopo l’operazione al ginocchio. Ritrovati i manti erbosi, la tennista tunisina è andata in crescendo. Dopo tre vincitrici Slam come Bianca Andreescu, Petra Kvitova e la stessa Rybakina, Jabeur ha dovuto affrontare un’altra giocatrice molto potente. Dal canto suo, Sabalenka, ieri, cercava non solo la finale a Wimbledon, mancata per un soffio nel 2021, ma anche il primato nel ranking mondiale.
Ci si aspettava il più classico dei confronti di stile e così è stato. Con Jabeur che inventava traiettorie che non troviamo nei manuali del tennis contemporaneo, per muovere l’avversaria e rendergli impossibile, dopo i primi colpi, o al servizio o in risposta, la botta senza replica. Nel primo set vinto di stretta misura dalla bielorussa al tie-break, la tunisina si era fatta decisamente preferire.

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A volte ritornano, violenza e fantasia al Roland GarrosNEL SECONDO parziale la partita sembrava avviarsi rapidamente alla conclusione, con Jabeur che mostrava evidenti segnali di sconforto. Ma proprio quando Sabalenka era a pochi punti dalla finale, Jabeur intensificava gli scambi sfiancando la bielorussa che, forse, per un peccato di hybris sprecava energie, perdendo lucidità e set. Alla resa dei conti, Jabeur dopo aver incassato e schivato, era in grado di contrattaccare per chiudere con un comodo 6-3 e tornare in finale a distanza di un anno.
In precedenza a giocarsi l’accesso all’ultimo atto, erano state Elina Svitolina e Marketa Vondrousova. L’ucraina, tornata dopo una lunga pausa per la gravidanza e certamente provata dalla guerra nel suo paese, da un paio di mesi è risalita ai suoi livelli. Dunque una falsa numero 76 che un paio di giorni prima aveva estromesso dal torneo la prima giocatrice al mondo, Iga Swiatek.
A contrastare le ambizioni della giocatrice ucraina, come detto, la ceca Vondrousova. Mancina, già finalista a Parigi nel 2019, a Wimbledon prima di quest’edizione aveva raccolto la miseria di un solo secondo turno. Dopo una delicata operazione al gomito sinistro e altri infortuni che ne hanno rallentato la crescita in termini di classifica, la ventiquattrenne di Sokolov qui ha approfittato di un tabellone favorevole.
Naturalmente, non bisogna togliere i meriti a Vondrousova, capace di giocare un tennis fatto di variazioni, di spostamenti orizzontali e verticali senza perdere la coordinazione nei colpi, con un discreto servizio e, soprattutto, con la miglior risposta vista finora a Wimbledon.

I SENTIMENTI e la retorica che hanno accompagnato Svitolina lungo questi dieci giorni, non sono bastati a nascondere i difetti che le hanno sempre impedito di arrivare al grande risultato. Ne è venuta fuori una partita sbilanciata nella quale Vondrousova nel primo set si è imposta con relativa facilità. Nel secondo parziale si arrivava al 4-0, 40-0 per la ceca. Qui accadeva qualcosa di sorprendente ma non di inusuale in questo diabolico sport. Senza alcun motivo visibile, Vondrousova perdeva terreno, con doppi falli a ripetizione ed errori inediti. Svitolina allora tornava a nuova vita issandosi sul 3-4 e servizio. Questione di un attimo, perché d’incanto tutto ricominciava a somigliare a quanto visto nell’intera partita. Alla fine un altro 6-3 segnava la fine dell’avventura di Svitolina, e l’inizio di un sogno per Vondrousova da condividere per due giorni con Jabeur.