Gli Stati uniti metteranno sul mercato 180 milioni di barili di petrolio delle loro riserve strategiche, 1 milione al giorno per i prossimi sei mesi.

Ieri la Casa Bianca lo ha dichiarato ufficialmente, ma erano bastate le voci dei giorni precedenti a raffreddare i prezzi del greggio, comunque sempre sopra i 100 dollari al barile.

È il più grande ricorso alle riserve strategiche americane da quando esse esistono: centinaia di milioni di barili nascosti dentro enormi miniere abbandonate tra il Texas e la Louisiana fin dal 1973, l’anno in cui i paesi arabi chiusero i rubinetti per la guerra del Kippur e gli Stati uniti si ritrovarono in guai molto peggiori delle targhe alterne italiane.

Non è neanche lontanamente la prima volta che gli Usa mettono mano al salvadanaio petrolifero: lo fecero per Desert Storm nel 1991, per riscaldare la costa est nel gelido 2000, per l’uragano Kathrina nel 2005, per le Primavere arabe nel 2011… . Trump riempì i serbatoi all’orlo per sostenere i petrolieri americani colpiti dal Covid, Biden li svuotò per far riprendere l’economia quando il Covid smise di mordere.

Ad essere eccezionali sono le dimensioni: sono dieci volte i barili venduti da Bush jr per la prima Guerra del Golfo, più del triplo di quelli venduti da Biden nel novembre 2021 per abbassare il prezzo della benzina.

Si può evitare come la peste di chiamarla «economia di guerra», come si fa in Italia, ma cos’altro significa rompere il petro-salvadanaio, che con 570 milioni di barili è al livello più basso da vent’anni? La grande vendita avviene due giorni dopo che l’agenzia Bloomberg ha rivelato come Biden stia per fare ricorso a una vera legge di guerra, per quanto guerra fredda: il Defense production act del 1950 che Harry Truman volle durante la Corea per controllare i minerali strategici e le aziende che li lavoravano.

Allora furono alluminio e titanio per i missili nucleari, poi servì a proteggere il silicio che avrebbe dato vita a Internet, a difendersi dallo spionaggio tecnologico cinese, a Trump per i respiratori anti-Covid e a Biden – presidente da due giorni – per l’equipaggiamento protettivo di chi realizzava i vaccini. Oggi servirà per le batterie.

Resa pubblica poche ore dopo che l’Opec+ (che include la Russia) aveva deciso di limitarsi a un aumento cosmetico di 30mila barili al mese, la vendita del petrolio di riserva è un’altra misura di respiro mondiale che serve principalmente il mercato interno americano: la benzina è arrivata a 4,24 dollari al gallone, sicura garanzia di perdere un voto ogni volta che un automobilista fa il pieno – e le elezioni di midterm sono tra sette mesi.

Per abbassare i prezzi alla pompa, Biden (che non ha lesinato una frecciata ad alcune aziende petrolifere a cui «piace l’aumento dei prezzi») starebbe anche per concedere un aumento dell’etanolo nella benzina fino al 20%. Che così aumenti il prezzo del mais, coltura-base dell’etanolo, forse importa solo a chi mangia tortillas.