È il territorio dove da trent’anni hanno campo libero. Nella spartizione dell’area reggina in 13 comprensori, siglata dai boss Giorgio Di Stefano e Pasquale Condello alla fine della seconda guerra di ‘ndrangheta negli anni ’90, agli Araniti spettava il comune di Sambatello. Siamo a nord del capoluogo, a pochi chilometri da Villa san Giovanni e Catona. Mimì Araniti detto il duca, fratello del capocosca Santo (al 41 bis dal 2010), si credeva padrone indiscusso della zona, un feudo dove per tessere la tela del potere criminale bisognava mettere le pedine al posto giusto. E incastrare alla perfezione i tasselli. A partire da quelli della politica. Secondo gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria era un meccanismo di infiltrazione mafiosa del processo elettorale oliato e bipartisan. Così ieri sono scattate le misure restrittive.

L’indagine, denominata Ducale, è firmata dal Procuratore Giuseppe Bombardieri, dagli aggiunti Stefano Musolino e Lucio Ignazitto e dal pm Salvatore Rossello. Le elezioni, finite sotto la lente, sono le comunali del 2020, le concomitanti regionali e quelle anticipate del 2021 in seguito alla scomparsa della presidente Santelli. Complessivamente 14 le misure disposte dal gip: 7 indagati in carcere, 4 ai domiciliari e 3 con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I reati contestati: associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio.

Dal calderone scoperchiato dagli inquirenti escono fuori tre politici di vaglia: Ciccio Neri, capogruppo regionale FdI, Francesco Sera (Pd), consigliere comunale di Reggio e sopratutto il sindaco dem Peppe Falcomatà, da poco tornato in sella a Palazzo San Giorgio. Sospeso dal 2021, la Cassazione sei mesi fa gli ha restituito la fascia, temporaneamente persa in forza della legge Severino, dopo la condanna nel processo «Miramare». In questi mesi ha tenuto un basso profilo anche in campagna elettorale. Di lui si ricorda solo il sostegno incondizionato al Ponte sullo Stretto. Ora deve fronteggiare altri guai giudiziari. Per la Dda, «l’addetto ai rapporti politici per conto del clan» Daniel Barillà, genero del “duca”, sarebbe stato un suo «grande elettore», non solo a Sambatello ma anche a Gallico. Tuttavia, il primo cittadino si salva dalla richiesta di misura cautelare. «Il tema di prova dell’elemento psicologico in base al quale stipulava il patto elettorale con Barillà non ha ancora raggiunto la maturazione necessaria a giustificare, anche per lui, la richiesta cautelare». Non risulterebbe dunque provata la consapevolezza da parte di Falcomatà di avere a che fare con l’uomo del clan.

La Dda aveva chiesto invece l’arresto per Neri e Sera, non convalidato dal gip. Il quadro probatorio a loro carico è più pesante. In particolare Barillà, avrebbe alterato – con la complicità di compiacenti scrutatori – le operazioni procurandosi le schede di cittadini impossibilitati a votare ed esprimendo, in luogo di questi ultimi, la preferenza in favore di Neri e Sera. Un “favore” che, secondo la Dda, avrebbe consentito a Barillà di ottenere dagli stessi candidati nomine in enti pubblici come professionista esterno.