È di nuovo il 37enne Salwan Momika, cittadino iracheno da 5 anni in Svezia come rifugiato politico, ad accendere, non solo metaforicamente, il clima già tesissimo tra il suo paese d’origine e quello che gli ha dato asilo.

Nasce da un suo messaggio sui social martedì scorso, nel quale annunciava che avrebbe «calpestato e bruciato il Corano e la bandiera irachena» davanti all’ambasciata di Baghdad a Stoccolma giovedì pomeriggio, il motivo dell’assalto alla sede diplomatica svedese avvenuto nella notte di mercoledì sera nella capitale mediorientale. Le centinaia di manifestati che hanno invaso l’ambasciata scandinava hanno poi dato fuoco ai locali nei quali si trovavano al grido «se voi bruciate il nostro libro sacro noi bruciamo la vostra sede».

Ad assaltare l’ambasciata sono stati manifestanti incitati dal predicatore clerico sciita Moqtada Al Sadr, invertendo la tempistica andata in scena lo scorso 27 giugno. Quel giorno Momika aveva prima infilato una fetta di pancetta tra le pagine del Corano per poi strapparne alcune pulendosi le scarpe e infine dando fuoco a tutto il libro davanti alla moschea di Medborgarplatsen, situata al centro di Stoccolma.

ALLORA LE REAZIONI IN IRAQ e in tutto il mondo musulmano erano state durissime compreso l’assalto successivo all’ambasciata svedese a Baghdad sempre ad opera degli uomini di Al Sadr. La manifestazione di ieri di Momika, nonostante i fragorosi annunci, non è stata così simbolicamente violenta come quella dello scorso giugno: il profugo iracheno si è limitato a buttare a terra una copia del libro sacro per l’Islam e a calpestarlo. Ha poi sventolato con una mano la bandiera svedese e con l’altra ha brandito un megafono con il quale ha ribadito le sue ragioni a favore della libertà di espressione svedese contrapposta all’«oscurantismo islamico».

Immediata la reazione del governo iracheno che tramite il suo primo ministro, Mohamed Shia Al-Sudani, ha deciso di ritirare il suo ambasciatore da Stoccolma in risposta al «ripetuto permesso del governo svedese di bruciare il Sacro Corano, insultare le santità islamiche e bruciare la bandiera irachena». Al-Sudani ha invitato anche l’ambasciatore svedese a Baghdad a lasciare il paese; nella notte le forze di polizia non avevano fatto nulla per impedire l’assalto dei “sadristi” all’ambasciata scandinava. Anche il ministro iracheno delle comunicazioni Hayam al-Yasiri ha annunciato che gli affari con tutte le società svedesi saranno vietati in Iraq. Il governo iracheno ha inoltre annunciato il ritiro del permesso di lavoro per la società di telecomunicazioni svedese Ericsson.

Condanne unanimi erano arrivate da tutte le cancellerie occidentali alla notizia dell’assalto dell’ambasciata svedese di mercoledì notte anche se non erano mancati i distinguo come quello del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che nell’esprimere «solidarietà con la Svezia per l’incendio alla sua Ambasciata a Baghdad» ha poi voluto precisare che «bruciare testi sacri, Vangelo, Corano o Torah, è un atto di violenza contro Dio e i credenti».

SECONDO JOAKIM NERGELIUS, avvocato e professore di giurisprudenza a Stoccolma «la critica alla religione è legale in Svezia; la libertà di espressione, introdotta con una modifica costituzionale nel 1970, ad esempio vieta di dire cose minacciose o dispregiative nei confronti di un gruppo di persone ma – continua il professore di diritto – è controverso per la nostra legislazione ritenere che il rogo di un libro sacro possa essere un incitamento contro un gruppo di persone».
Il mondo islamico però la pensa diversamente e altri paesi musulmani potrebbero seguire l’esempio iracheno.