Editoriale

Nassirya, l’Italia era in guerra non costruiva la pace

Una foto di archivio di un militare italiano in servizio di guardia a Camp Mittica, la base italiana di Nassirya in IraqUna foto di archivio di un militare italiano in servizio di guardia a Camp Mittica, la base italiana di Nassirya in Iraq – ANSA

2003-2024 Il rispetto per i caduti, per i familiari e per le giovani generazioni ci spinge a ricordare che l’intervento militare italiano in Iraq del marzo 2003 fu una missione di guerra

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 13 novembre 2024

Ormai è una consuetudine. Nel giorno dell’anniversario di Nassirya del 12 novembre 2003 – persero la vita 19 italiani e 9 iracheni in un attentato di miliziani iracheni – riecheggia un’enfasi retorica che cancella storia e memoria. Così fanno tutte le autorità italiane, “istituzionalmente” il presidente Mattarella, con baldanza patriottica la premier Meloni, il ministro della difesa Crosetto con un occhio ai familiari delle vittime e un altro alle nuove avventure belliche. Tutti rivolti «alle giovani generazioni». Ecco che il ricordo dell’eccidio di Nassirya diventa inequivocabilmente omaggio a coloro che «animati da profondo senso del dovere, dedizione e coraggio, hanno donato la propria vita per l’Italia e per i valori della pace e della cooperazione internazionale».

Ma il rispetto per i caduti di Nassirya, per i familiari e per le giovani generazioni ci spinge a ricordare che l’intervento militare italiano in Iraq del marzo 2003 fu una missione di guerra nemmeno mascherata da «intervento umanitario», a fianco degli Stati uniti che costruirono una “coalizione di volenterosi” di 48 Paesi alla quale aderì con fervore il governo Berlusconi – e molti paesi dell’est come l’Ucraina – ; con una decisione che spaccò l’Europa, bloccò e divise il Consiglio di sicurezza Onu.

Scese in piazza la «potenza mondiale» di milioni di pacifisti. Ma la guerra scattò lo stesso, motivata dalle menzogne di Bush che annunciò all’Onu con il ministro della difesa Usa Powell le prove mai trovate delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e alimentò le fake del ruolo iracheno nell’11 settembre 2001. Il solo risultato fu una ecatombe di civili iracheni uccisi – un milione di morti secondo tutti i rapporti esistenti (British Iraq Body Count, rivista Lancet, ministero della Salute iracheno, rivista Plos Medicine, etc),per i quali non c’è ricordo in Occidente. Così come non c’è riconoscimento per i tanti militari italiani uccisi dall’uranio impoverito. Per una crisi irachena che rimase aperta – nacque con la guerra l’Isis – e che resta drammatica. Da lì fuggono migliaia di persone che chiamiamo migranti che non a caso vogliamo ricacciare indietro. Dalla nostra memoria.

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