Continua la rappresaglia dell’esercito americano contro le milizie appoggiate dall’Iran in Iraq e Siria. Dopo aver lanciato una serie di attacchi aerei e missilistici il 2 febbraio, le forze Usa hanno preso di mira mercoledì un leader di spicco delle Kataib Hezbollah irachene, Abu Baqir al-Saadi, colpendo la sua auto a nord-est della capitale irachena.

AL-SAADI, secondo i media arabi, era responsabile dei droni e del sistema missilistico di Kataib Hezbollah, nonché dei trasferimenti di armi in Siria. Washington lo accusa di essere uno dei responsabili degli attacchi contro la base statunitense in Giordania, che il 28 gennaio ha causato la morte di tre soldati americani. L’attacco è stato il primo a infliggere perdite umane alle forze Usa dallo scoppio della guerra a Gaza. Kataib Hezbollah, sostenuto da Teheran, aveva rivendicato l’attentato. Il gruppo è stato fondato nel 2003 dal Abu Mahdi al-Mohandes, assassinato insieme al generale iraniano Soleimani nel 2020 dagli americani.

La morte dei soldati statunitensi ha spinto Teheran a cercare di frenare le attività di Kataib Hezbollah, che il 30 gennaio ha annunciato la sospensione delle operazioni contro le forze statunitensi. Annuncio seguito dalla visita del comandante della Forza Quds delle Guardie della Rivoluzione iraniana, Ismail Ghaani.

Una delle ragioni principali della presenza di 2.500 soldati americani in Iraq è quella di ostacolare il trasferimento di armi da parte dell’Iran attraverso l’Iraq e la Siria per sostenere Hezbollah contro Israele. Obiettivo non pienamente raggiunto, considerando che i servizi di intelligence americani e israeliani considerano Hezbollah uno dei gruppi non statali più armati al mondo. Teheran ha sostenuto le milizie irachene che si opponevano alla presenza americana in Iraq, cercando di prevenire che il paese diventasse una base operativa avanzata per attaccare l’Iran. Nel corso degli anni di animosità e di conflitto ombra tra Stati uniti e Teheran sono emerse linee rosse non scritte, soprattutto quelle che indicano che l’Iran e i suoi alleati non dovrebbero uccidere cittadini americani.

YAHYA RASOOL, portavoce militare iracheno, ha dichiarato: «Gli attacchi degli Stati uniti stanno generando una instabilità che rischia di coinvolgere l’Iraq in un ciclo di conflitti», aggiungendo che «questa tendenza costringe il governo iracheno più che mai a concludere la missione delle forze militari Usa». Poche settimane fa Shia al-Sudani, primo ministro iracheno, aveva detto che l’Iraq desidera un’uscita negoziata della coalizione guidata dagli Stati uniti. Il grido di vendetta e la condanna sono unanimi tra diverse fazioni della resistenza irachena.

Nasser Kanani, portavoce del ministero degli Affari Esteri iraniano, ha condannato l’uccisione di Al-Saadi definendola un’azione di terrorismo e una «violazione della sovranità nazionale» e dell’integrità territoriale dell’Iraq.

Gli americani e gli iraniani continuano a dichiarare la volontà di evitare un’ulteriore escalation del conflitto. Tuttavia, l’ostilità continua a crescere. L’escalation degli attacchi di Hezbollah e delle milizie contro le basi americane in Iraq e Siria, insieme agli attacchi degli Houthi alle navi mercantili, e agli attacchi israeliani e americani in Libano, Iraq, Siria e Yemen, hanno esteso il teatro del conflitto effettivamente oltre i confini di Gaza.

LA SOLUZIONE più conveniente ed etica, anche se spesso trascurata, appare essere quella di persuadere Tel Aviv a porre fine al conflitto che ha dato origine all’escalation delle ostilità. Tuttavia, la politica americana sta incontrando notevoli difficoltà in questa direzione. La speranza che l’amministrazione Biden possa piegare il governo israeliano offrendo soluzioni vantaggiose è svanita dopo il fallimento della quinta missione del segretario di Stato Blinken.

Molti nel Medio Oriente ritengono che il governo israeliano consideri la sua sopravvivenza legata alla continuazione del conflitto e cerchi di coinvolgere gli Usa e l’Iran nella battaglia. Alcuni analisti credono che sarà difficile porre fine alla guerra senza una dura pressione politica sul governo israeliano. Una sfida che l’amministrazione Biden potrebbe non essere in grado di affrontare, specialmente in vista delle elezioni imminenti.
Persiste anche la pressione sul governo iraniano affinché intervenga presso i suoi alleati per cessare gli attacchi. Tuttavia, sembra evidente che le milizie, sostenute da Teheran, si comportino più come partner che come «delegati»: non è chiaro se Teheran possa davvero controllarle.